mercoledì 24 settembre 2014

Se la Ue diventa una dittatura

Se la Ue diventa una dittatura


di Luciano Gallino, da Repubblica, 23 settembre 2014

«Quel che sta accadendo è una rivoluzione silenziosa — una rivoluzione silenziosa in termini di un più forte governo dell’economia realizzato a piccoli passi. Gli Stati membri hanno accettato — e spero lo abbiano capito nel modo giusto — di attribuire importanti poteri alle istituzioni europee riguardo alla sorveglianza, e un controllo molto più stretto delle finanze pubbliche». Così si esprimeva il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, in un discorso all’Istituto Europeo di Firenze nel giugno 2010.

domenica 21 settembre 2014

Sacre scritture...religione e politica

Estratto dall'editoriale di Eugenio Scalfari , da " La repubblica" del 21 settembre 2014.
Pensiamo alle  tre "religioni del libro" (ebraica, cristiana, islamica ). 
Della prima, ovviamente non si sa chi abbia scritto la Bibbia; della seconda, vedi più sotto. Della terza, almeno sappiamo qual è l'autore. Ma appena morto, i seguaci hanno cominciato a scannarsi su come interpretare quello che aveva scritto. E continuano ancora oggi, tra sunniti, sciiti e sette varie.


Immagina non esista paradiso
È facile se provi
Nessun inferno sotto noi
Sopra solo cielo
Immagina che tutta la gente
Viva solo per l’oggi

Immagina non ci siano nazioni
Non è difficile da fare
Niente per cui uccidere e morire
E nessuna religione
Immagina tutta la gente
Che vive in pace

John Lennon, "Imagine"

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Nella disputa attuale apertasi sul rapporto tra i divorziati e i sacramenti, i canonisti affermano che fu proprio Gesù a stabilire che il matrimonio è indissolubile. Del resto i canonisti e i teologi riconosciuti dalla Chiesa citano una serie di affermazioni fatte da Gesù. Le citano letteralmente, direi virgolettate, traendole dai suoi discorsi, dalle sue parabole, dalle preghiere di cui sono loro a stabilirne il testo.

Ma in verità non esiste alcuna parola scritta da Gesù. Direttamente di Gesù non si sa assolutamente nulla. Si conoscono perché lo raccontano i Vangeli, soltanto quattro dei molti esistenti accettati e ufficializzati e diffusi dalla Chiesa. Ma non sfugge a nessuno che dei quattro evangelisti, tre non conobbero Gesù, non lo videro e non l'ascoltarono mai. Scrissero i loro testi tra i 50 e i 60 anni dopo la sua morte che avvenne - secondo gli Atti degli Apostoli - tre anni dopo l'inizio della predicazione quando il Signore aveva trentatré anni.

Il quarto evangelista, Giovanni, scrisse il suo Vangelo tra i 60 e i 70 anni dalla morte del Maestro. E poiché quando Gesù morì l'apostolo Giovanni non poteva certo avere meno di vent'anni, la scrittura del suo Vangelo sarebbe stata fatta da una persona più che ottantenne.

In realtà è molto dubbio che l'autore sia l'apostolo. Comunque gli altri tre raccontano la vita del Signore con fonti di seconda o di terza mano. I loro Vangeli non sono ovviamente fotocopia l'uno dell'altro e differiscono non solo nello stile ma anche in molti fatti e soprattutto nulla ci dicono sui trent'anni che Gesù trascorse nella casa natale con i suoi genitori e fratelli. Di quei trent'anni nulla sappiamo, né di seconda né di terza mano.
Ricordo questa situazione, che del resto è nota a tutti, perché affermare con certezza che Gesù disse, pensò, sentenziò, rispose, è del tutto arbitrario. Noi conosciamo quattro racconti di Marco, Matteo, Luca, Giovanni (della cui identità poco sappiamo), ciascuno con le sue fonti e la sua interpretazione.

Sappiamo anche un'altra cosa: Paolo di Tarso non era un apostolo di quelli che seguirono il Maestro e poi continuarono a diffondere la sua dottrina dopo la sua morte e la sua resurrezione. Paolo non conobbe mai Gesù, gli apparve la sua figura nella mente dopo la caduta da cavallo nell'incidente che gli capitò sulla via di Damasco e il trauma che ne ebbe.

Ma Paolo non solo si proclamò uno degli apostoli al pari degli altri, ma scavalcò gli altri con la sua facondia e la lucida acutezza dei suoi pensieri. In realtà, come tutta la patristica riconobbe e la Chiesa tuttora riconosce, fu lui il vero fondatore della nuova religione e non soltanto per le norme comportamentali e spirituali che si desumono dalle sue molteplici lettere alle varie comunità cristiane nel frattempo sorte, ma soprattutto per la pressione che esercitò sulla comunità di Gerusalemme guidata allora da Pietro e da Giacomo (fratello o cugino di Gesù) che era allora la più importante delle poche comunità esistenti.

Quando Paolo, dopo la caduta sulla via di Damasco, si proclamò apostolo e fu dagli altri accettato come tale, esisteva di fatto quella sola comunità. Essa era considerata da Pietro e da Giacomo come una comunità ebraico-cristiana. In sostanza, come una variante dell'ebraismo. Esistevano molte comunità ebraiche i cui principi differivano molto tra loro e rispetto al Sinedrio che amministrava il Tempio e applicava la legge.

La variante cristiana era dunque secondo Pietro e Giacomo una di quelle. Gesù del resto nacque ebreo e tale rimase, sia pure - a detta degli evangelisti - introducendo nella legge ebraica delle varianti a dir poco rivoluzionarie.

Paolo però voleva che la nuova religione uscisse da Gerusalemme e si diffondesse nel mondo, a cominciare dalla costiera mediterranea e naturalmente da Roma, capitale dell'Impero.

Roma, proprio perché Impero che regnava su molte genti, non era affatto intollerante con le religioni e gli dèi che i suoi sudditi adoravano. Purché tutte le genti dell'Impero riconoscessero gli dèi romani e li trattassero con rispetto. Per il resto adorassero pure i loro dèi, aprissero templi e celebrassero i rispettivi culti.

Infatti i cristiani non furono perseguitati né da Tiberio né dai suoi successori, salvo una persecuzione peraltro limitata che fu effettuata da Nerone perché la sua guardia palatina aveva individuato alcuni pretesi incendiari in un gruppo di cristiani. Le vere persecuzioni vennero dopo, quando i cristiani diffusero la loro religione con molta rapidità e in tutto l'Impero minando l'autorità dell'imperatore, ritenuto sacro dalla Roma tardo-imperiale.

lunedì 8 settembre 2014

Convivialità. L’alternativa all’utilitarismo

Un manifesto di studiosi invoca più solidarietà e più attenzione alla natura. Senza demonizzare conflitto e mercato

Convivialità. L’alternativa all’utilitarismo

Privilegiare legami sociali e condivisione. L’uomo non è una macchina calcolatrice

Che cosa hanno in comune quelle migliaia o forse decine di migliaia di associazioni, movimenti, organizzazioni che si battono oggi in ogni continente per la cura e la salvaguardia del mondo e dell’umanità? Che cosa unisce i promotori delle economie sociali e solidali, i difensori dei diritti dell’uomo, della donna e dei lavoratori, gli inventori dei sistemi di scambio locale (dalle banche del tempo alle varie forme di volontariato), la rivendicazione del buen vivir, la ricerca di indicatori di ricchezza alternativi al Pil, Slow Food e gli Indignados, i promotori della sobrietà volontaria e i difensori dei beni comuni? Viviamo un’epoca caratterizzata da minacce incombenti: il riscaldamento globale, la crescita delle diseguaglianze e della disoccupazione, il proliferare delle mafie e della corruzione. L’insicurezza pervade una contemporaneità che spesso reagisce trasformando la sicurezza in un’ossessione. Il crollo dei sistemi politici del passato non è supportato da forme di immaginazione che ci aiutino a trovare nuove vie del vivere insieme in società di grandi dimensioni.
Viviamo però, ugualmente, un’epoca di speranze e di promesse: la democrazia si diffonde ovunque e anima movimenti contro i dittatori e contro la finanziarizzazione del mondo; le tecnologie informatiche promettono una maggior condivisione e partecipazione ai saperi e un accesso partecipato al potere; la ricerca mette a punto nuovi ed efficaci strumenti per la «transizione ecologica » verso forme di economia sostenibile.