Concordo pienamente con Nicola Campogrande, autore dell'articolo. Oltretutto, trovo veramente demenziale il comportamento di chi va ai concerti e invece di ascoltare e guardare dal vivo, se ne sta mani in alto a fissare lo schermino dello smartphone, per poi (forse) rivederselo a casa, piccolo, sfuocato, scuro e traballante . Stesso discorso per i vari "turisti da museo" o peggio ancora da acquario, che invece di godersi l'opera o l'animale da vicino, ne fanno una foto veloce per poi (forse) riguardarsela a casa, magari con nel mezzo dell'immagine il lampo del flash. Ma statevene a casa!........
Negli Usa e in Australia posti in platea per chi usa i social media durante concerti classici
Sino ad ora le sale da concerto, in tutto il mondo, sono state l’esatto opposto dei nonluoghi descritti da Marc Augé: l’ascoltatore di musica classica che vi entrava ritrovava tratti familiari, rassicuranti, capaci di dare un’idea di casa anche a migliaia di chilometri di distanza. Il segno più forte, la traccia identitaria di un auditorium, era che — quando il concerto fosse cominciato — tutte le persone presenti davanti agli interpreti si sarebbero trasformate in ascoltatori e avrebbero vissuto bene o male la stessa esperienza, sottoponendosi a una sere di emozioni potenzialmente molto intense e capaci di assorbire in modo totale la concentrazione. La carta di caramella, il sussurro troppo sonoro e — Dio non voglia — la suoneria lasciata accesa, più che un segno di maleducazione, erano una ferita, una lacerazione nell’atmosfera emotiva che si creava lì dentro: era ovvio, dovunque, e mai sarebbe venuto in mente di doverlo ricordare.