mercoledì 13 novembre 2013

Jimmy Bryant e Hellecasters

Ecco una delle prime apparizioni della "electric spanish guitar", in pratica la fender telecaster. A suonarla il fantastico Jimmy Bryant: si tenga conto che siamo nei primi  anni '50, la musica sembra un (ed è) un pò "datata", ma Jimmy aveva un suono e una tecnica pulitissima, e molta inventiva. In Italia è praticamente sconosciuto....



E qui i suoi "eredi", in un certo senso, gli "Hellecasters".....fantastici, su youtube c'è il video di tutto il concerto

domenica 10 novembre 2013

una app può salvare un museo. oppure distruggerlo


di Arianna Huffington
Sempre più spesso i musei si servono della tecnologia per raggiungere il pubblico che sta al di fuori delle loro stanze. E io, va da sé, sono un'assoluta sostenitrice dei nuovi media e del fatto che le istituzioni si adattino il più velocemente possibile ai cambiamenti che le nuove tecnologie apportano al nostro mondo.
Quando però è venuto il momento di parlare con i vertici dei musei su come usare gli strumenti dei social media per allargare il loro pubblico e arricchire l'esperienza dei visitatori, mi sono scoperta insolitamente reticente. Perché i musei offrono una cosa che nel nostro mondo sta diventando sempre più rara: l'opportunità di disconnetterci dalle nostre vite iperconnesse, e la possibilità di stupirci. Per descriverla con le parole di Maxwell Anderson, amministratore delegato dell'Indianapolis Museum of Art, il compito di un museo è fornire ai visitatori «suggestioni e meraviglie... un intangibile senso di euforia, la sensazione di essere sollevati da un peso». O, come diceva il mio connazionale Aristotele, una «catarsi».
La questione è dunque come usare i social media per contribuire a questo compito, senza compromettere il senso fondamentale dell'esperienza artistica, che è entrare in contatto con qualcosa più grande di noi.
«Ogni epoca deve reinventare da sé il progetto della spiritualità», scriveva Susan Sontag in L'estetica del silenzio. E nella nostra epoca digitale i musei rappresentano uno dei terreni più fertili per farlo. Ecco perché il rischio che il senso dei social media si esaurisca nei social media connessione fine a se stessa, priva di scopo  è un rischio dal quale i musei devono tutelarsi in modo particolare. Ridurre l'esperienza del museo a una serie di app pensate per fornire ulteriori dati sarebbe risibile quanto ridurre l'esperienza di chi va in chiesa a dei parrocchiani che twittano per dire: «Qui in chiesa il prete ha appena parlato di pani e di pesci. Qualcuno ha ricette di sushi da passare?» O che sfoderano l'iPad per scoprire che il Discorso della Montagna ha avuto luogo vicino al mare di Galilea, il quale, vengo a sapere seguendo un link, è il più grande lago d'acqua dolce sotto il livello del mare al mondo... devo assolutamente twittarlo subito! Sfruttati al meglio, i social media riescono a costruire comunità e a potenziare la comunicazione. Nel caso dei musei, possono dare accesso a un pubblico molto più vasto e offrire a chi li utilizza la possibilità di proseguire l'esperienza estetica anche una volta fuori dal museo. Ma se i musei dimenticano il loro DNA e si lasciano abbindolare da ogni una nuova tecnologia sexy che gli passa accanto sculettando, rischiano di compromettere il senso stesso della loro esistenza. Troppa connessione del tipo sbagliato può di fatto disconnetterci dall'esperienza estetica.
Come sintetizzava Sontag: «la contemplazione prevede che lo spet­tatore si dimentichi di sé».
Il neuroscienziato Antonio Damasio, che dirige il Brain and Creativity Institute della University of Sou­thern California, ha descritto l'arte e l'esperienza del museo come «una risposta emotiva legata al corredo genetico fondamentale dei primati, che è improntato alla curiosità, all'e­splorazione e a un senso di scoperta. Produce soddisfazione nel momento in cui si trova qualcosa. In un museo, capita di girare un angolo e incontrare qualcosa di cui si è sentito parlare, o che si cercava, oppure di cui non si è mai sentito parlare, ma che è molto bello. A innescare l'esperienza è in parte proprio questo elemento di sorpresa». Per dirla con altre parole, l'e­lemento del mistero, della meraviglia, dell'oblio di sé, della trascendenza.
Nel libro Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello, Nicholas Carr scrive: «Deve esserci un tempo per raccogliere dati in modo efficiente e un tempo per la contemplazione inefficiente, un tempo per far funzionare la macchina e uno per starsene seduti a oziare in giardino».
Di giardini, al mondo, non ne rimangono molti. È questo che rende i musei cosi importanti. È fantastico vederli sfruttare gli strumenti dei nuovi media, ma non dobbiamo mai dimenticare che, mentre le tecnologie sono destinate a mutare costantemente, il bisogno di entrare in contatto con l'arte di qualità non cambieràmai.

(Traduzione di Matteo Colombo)
La Repubblica delle donne 9 novembre 2013

sabato 9 novembre 2013

Crozza, papa Francesco e il frigo

Bellissimo. Se la settimana scorsa  la scenetta riguardante il presidente Napolitano mi aveva deluso parecchio, questa sul papa è veramente bellissima, raffinata. Secondo me papa Francesco sta meditando tra sè e sè l'opportunità di fare una telefonata di complimenti a Crozza....