giovedì 30 settembre 2010

Non c’è futuro senza educazione alla pace

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota di Pax Christi. Ci mancavano pure i giovani balilla, nelle scuole italiane....

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Nei licei della scuola italiana, già colpita da tagli e provvedimenti inaccettabili, stanno partendo
corsi paramilitari, validi come crediti formativi, dal titolo “Allenati alla vita”. Sconcertati
dall'incredibile decisione dei ministeri della Difesa e dell’Istruzione, intendiamo affermare che
questa iniziativa risulta altamente dannosa perché estranea alla finalità della scuola e stravolge il
contenuto del progetto “Cittadinanza e Costituzione” o quello di altre iniziative come “La pace si
fa a scuola”. Tra i temi proposti, spiccano la cultura militare, armi e tiro, i mezzi dell’esercito,
sopravvivenza in ambienti ostili e, addirittura, la difesa nucleare (concetto ormai improponibile nel
panorama giuridico internazionale che, già nel 1963, Giovanni XXIII considerava assurdo,
“alienum a ratione”; l’Italia, tra l’altro, ha ratificato il Trattato di Non proliferazione per il disarmo
nucleare globale).
Siamo di fronte a una novità pericolosa, antiformativa e antipedagogica. Insegnare-imparare a
sparare non è compito della scuola della Repubblica Italiana dove risplende l’articolo 11 della
Costituzione e dove sono maturate ipotesi di difesa nonviolenta anche tramite corpi civili di pace
che non vengono adeguatamente organizzati perché il governo preferisce investire 20 milioni di
euro per la “mini naja” (progetto “Vivi la Difesa”, presentato come strumento di “cultura della
pace”). Vengono così tagliati i finanziamenti al Servizio civile nazionale col rischio di far seccare le
radici piantate negli anni ’85, ’92, ’98, 2001 e 2004 a favore della “Difesa civile non armata e
nonviolenta”.
Chi lotta contro la piaga dei bambini soldato nei paesi in guerra non può accettare la nascita a casa
propria degli "studenti guerrieri". Chi vuole contrastare il bullismo non può pensare di farlo in
modo paramilitare. Nel clima attuale, basato sul governo della paura, tali progetti possono solo
diffondere l’idea della violenza armata come strumento normale di soluzione dei conflitti (con la
convinzione che la guerra è un sistema naturale e necessario di convivenza). Consolidano l’idea del
nemico da eliminare. Alimentano i pregiudizi e ne creano di nuovi. Manipolano le emozioni.
Porteranno molti a farsi legge da sé, a praticare la legge del più forte. Una scuola che accogliesse
simili progetti non aiuterebbe certo i giovani a usare la forza della ragione anziché la ragione della
forza.
E' bene ricordare il motto nonviolento: se vuoi la pace prepara la pace.
Nel respingere tali istanze, genitori, famiglie, dirigenti scolastici, docenti e alunni sviluppino
programmi educativi collegandosi alla Tavola della pace (ad esempio “Ospita una persona:
incontra un popolo” e “La mia scuola per la pace”, patto siglato il 4 ottobre 2007 tra Ministero della
Pubblica Istruzione e il convento di Assisi); rilancino il programma degli “Interventi civili di pace
per la prevenzione e trasformazione dei conflitti” (partito nel 2008 grazie a un accordo tra 7
associazioni, il Comune di Firenze e il Ministero Affari Esteri) e riprendano l’originaria
impostazione di “Cittadinanza e Costituzione”.
In molti luoghi la scuola è e può essere ancora laboratorio di pace dove è possibile esplorare le
mappe della nonviolenza, accostare volti ed esperienze, organizzare iniziative di solidarietà o
riflessioni operative su bambini soldato, infanzia negata, dignità della donna, pena di morte, guerre
dimenticate, mine antipersona, disarmo chimico o nucleare, malattie e accesso ai farmaci,
immigrazione, diritto internazionale, acqua bene comune, commercio equo e solidale, sobrietà e
nuovi stili di vita.
Il compito di una scuola seria e serena è quello di educarci alla pace come costruzione di una vita
bella e buona, ricca di amicizie e di relazioni, animata dalla fresca energia della nonviolenza, aperta
alla speranza. Non ci può essere futuro senza educazione alla pace.
Firenze, 26 settembre 2010
Pax Christi Italia055/2020375 info@oaxchristi.it http://www.peacelink.it/paxchristi/a/32435.html
don Nandino Capovilla: 347/3176588 nandyno@libero.it

Ma che film la vita...

Serate cinematografiche a soggetto

Il film che ti ha sedotto, che ti ha fatto piangere, che ti ha aperto gli occhi, che ti ha messo di buon umore e ti ha fatto ridere a crepapelle, il film che continueresti a rivedere perchè ogni volta che lo vedi scopri qualcosa di nuovo, il film che ti ha turbato, che ti ha emozionato,

 il film che.........................................................

vi dà  appuntamento in biblioteca!

L'occasione di vedere tanti lettori per una volta davanti allo schermo e non soltanto alla pagina stampata, per condividere una passione che non conosce tempo e non conosce età !


4 ottobre  FRANCESCO     di Liliana Cavani (1988)

11 ottobre LA PRIMA COSA BELLA di Paolo Virzì (2010)

18 ottobre QUADROPHENIA   di  Franc Roddam (1979)

25 ottobre IL RICCIO di Mona Achache (2010)

8 novembre QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE di Mike Newell (1994)

15 novembre UOMINI CHE ODIANO LE DONNE  di Niels Arden Oplev (2009)

22 novembre IL DOTTOR ZIVAGO di David Lean (1965)

29 novembre BASTARDI SENZA GLORIA di Quentin Tarantino (2009)

6 dicembre LEZIONI DI PIANO di Jane Campion (1993)

13 dicembre GIU' AL NORD di Dany Boon (2008)

20 dicembre L'ULTIMO CAPODANNO di Marco Risi (1998)


L'appuntamento è alla Biblioteca di San Polo (Via Tiziano, 246 tel. 030 2305998)

tutti i lunedi sera alle 20.30
 

sabato 25 settembre 2010

Bruce Springsteen - Burn to Run

22 agosto 2010

Corri vecchia America, corri

di Christian Rocca

da: la domenica del sole 24 ore, 22 agosto 2010


La prossima volta che «Time» vorrà dedicare una copertina al «grande romanzo americano», come ha fatto la settimana scorsa con l'ultimo libro dello scrittore Jonathan Franzen, dovrebbe fare una semplice ricerca d'archivio e ripescare la sua cover del 27 ottobre 1975. La stessa cosa dovrebbe fare il suo concorrente «Newsweek». Stessa ricerca, stessa data. Quel giorno di ottobre di trentacinque anni fa, le copertine delle due grandi riviste americane segnalarono ai lettori «il nuovo genio del rock» («Time») e «la nascita di una rock star» («Newsweek»).
L'immagine era di un ragazzo magro e barbuto di venticinque anni: Bruce Springsteen. Qualche settimana prima, il 25 agosto 1975, era uscito Born to run, il disco manifesto dell'America di metà anni Settanta con cui il giovane timido e impacciato di Freehold aveva deciso di lasciare la costa del New Jersey per diventare il Boss e raccontare la società e la cultura del suo paese.
Springsteen non è solo una rock star. Da allora è uno dei cantori più autentici dell'America contemporanea, un fotografo capace di catturare lo spirito del tempo yankee, un corifeo del grande romanzo americano sotto forma di short story musicale. Springsteen partecipa allo stesso campionato di John Steinbeck, di Woody Guthrie, di Robert Frank, di Philip Roth. Come Steinbeck racconta l'America che parte dal nulla, da umili origini, da un passato di immigrazione, di povertà e di sofferenza. L'America dinamica che vuole fuggire e teme di veder sfumare il tanto reclamizzato sogno americano. «Runaway american dream», il fuggente sogno americano, è il tema ricorrente delle sue canzoni, ma anche il verso simbolo di Born to run che è diventato il titolo di un bel libro di Louis P. Masur in uscita per Arcana il primo settembre: Runaway Dream - Born to run e la visione americana di Bruce Springsteen. Il 15, per Feltrinelli, arriverà in libreria anche Nativo Americano - La voce folk di Bruce Springsteen di Marina Petrillo.
Come Guthrie, Springsteen dà voce a chi ha poco da perdere, a chi cerca un'idea, una visione, una speranza cui aggrapparsi per poi risollevarsi e ripartire. Come nelle fotografie di Frank, concentra nei confini ristretti di una canzone la grande epopea dell'America rurale che non si ferma, che lavora, che si rigenera. Come il suo conterraneo Roth, racconta l'eterna pastorale americana. Springsteen combina note e testi per ritrarre lo spirito della nazione, la forza della working class, l'epica paesana della gente comune. Le sue istantanee sono racconti con un inizio e una fine. Brevi storie con personaggi che dialogano e interagiscono. Gente che vive ai margini, che ha segreti da mantenere o una vita da riscattare. Amicizie adolescenziali, gite al fiume, amori di strada.
Alla fine c'è sempre una speranza di redenzione che, nei dischi successivi, Springsteen ha individuato nella famiglia, nei figli, nell'amore. L'unico rifugio che possa riparare l'anima da un «mondo così sporco e crudele, così disonesto e confuso» (come ha tradotto Leonardo Colombati). Un cambiamento che forse non è solo la tappa necessaria di un romanzo di formazione personale, ma anche il segno dell'evoluzione di una società. Sono gli anni degli eccessi, del falò della vanità, di Madonna material girl. La fuga vera è verso la famiglia, l'intimità, il focolare di una lucky town.
Springsteen e l'America però sono born to run. Mary, Wendy, Terry, Eddie, Bad Scooter e Magic Rat sono i protagonisti in fuga da qualcosa e in cerca di qualcos'altro. Fanno parte del vasto campionario di operai, metalmeccanici, tornitori, manovali, lavoranti, braccianti, nullafacenti e prostitute alle prese con le miserie della vita di tutti i giorni. Gente senza niente, tranne la voglia di fuggire, di riscattarsi e di farcela. Personaggi che non vogliono carità, assistenza o beneficenza, ma che cercano di vivere in un modo migliore rispetto al giorno appena trascorso.
L'uomo americano è nato per correre, dice Springsteen. Vuole uscire dal tunnel in cui si trova. Freme per lasciarsi alle spalle la noia e la stanchezza di una vita ordinaria. Si batte per dimenticare il buio in cui è sprofondato. «Salta su, è una città piena di perdenti, e io me ne vado via di qui per vincere», è il finale di Thunder Road, la prima e forse la più bella canzone di Born to Run. Il protagonista sa di non essere un eroe, di non avere molto da offrire alla sua Mary, se non un'automobile sporca e scassata con cui inseguire un sogno, nel timore che possa essere già svanito: «Cos'altro ci rimane da fare se non abbassare il finestrino e lasciare che il vento ti scompigli i capelli. La notte è tutta per noi, queste due corsie ci porteranno ovunque».
Al netto della retorica, questa è anche l'America di oggi. Un ritratto preciso, sintetico ed efficace della sua immensa provincia. L'America colma di fede, carica di ottimismo, motivata dalla ricerca della terra promessa nel gigantesco spazio geografico che si trova davanti a sé. Può sembrare un'immagine anni Cinquanta. Si sente forse il sapore commerciale e posticcio di certi musical di Broadway. Può risultare stucchevole nell'era di internet e della globalizzazione. Ma, spente le mille luci delle grandi città, l'America delle praterie e dei grandi spazi è ancora in movimento, resta sempre un paese alla conquista, una nazione alla spasmodica ricerca del futuro. Crisi o non crisi. Forse ancora di più nei momenti di difficoltà. L'ultimo censimento conferma che ogni anno, per scelta, quaranta milioni di americani cambiano casa, città, contea, stato. L'americano medio si sposta almeno quattordici volte nella sua vita. Nessuno al mondo si muove a questi ritmi.
Uno dei motivi dell'attuale cupezza americana è legata proprio alle minori possibilità di fuga. L'idea di trasformare l'America in una società di proprietari di case, avviata da Bill Clinton e celebrata da George W. Bush, si è malamente sgonfiata assieme alla bolla immobiliare di fine 2008 e ai maneggi truffaldini di Wall Street. Un tempo l'americano cantato da Springsteen prendeva e partiva. Lasciava alle spalle un ciclo economico in esaurimento e andava altrove, verso la meta più o meno sicura di un lavoro che a casa non sarebbe mai più tornato. Ora è più difficile. Ci sono le case e i mutui da pagare. Non è diminuita soltanto l'occupazione, ma anche il valore immobiliare delle proprietà. Il debito con le banche, invece, no. Vendere casa per andare altrove a cercare lavoro non estingue il mutuo. «I vagabondi come noi, nati per correre» di Born to run sono costretti a rimanere. In questo clima di confusione e di debolezza, i cantautori americani si rifugiano in storie minuscole, intime, d'amore. In attesa di un nuovo Springsteen capace di catturare ancora una volta lo Zeitgeist.
Trentacinque anni fa, quando uscì Born to run, lo stato dell'Unione non era molto diverso da adesso. Nel 1974 c'era stata una profonda recessione, la crisi petrolifera aveva piegato il paese, lo spirito della nazione sembrava a terra. Un presidente odiato come Richard Nixon si era dimesso. Il Watergate aveva traumatizzato il paese. La guerra in Vietnam, dopo quasi vent'anni e 47mila morti, era finita in modo disonorevole. Il futuro sembrava volersi negare ai ventenni di allora che, come i protagonisti di Born to run, temevano già di non essere più giovani.
Springsteen non li ha mai abbandonati, nemmeno quando ha dato una curvatura più intellettuale e meno genuina alla sua opera. Negli anni dell'edonismo reaganiano ha smontato i falsi miti del patriottismo, ma da americano più americano di tutti. Born in the Usa. L'uomo nato per correre è nato, cresciuto e combatte negli Stati Uniti. La trasformazione economica e sociale di quegli anni aveva creato grandi ricchezze, ma anche disagi e difficoltà. La ricetta era la stessa: «No retreat, baby, no surrender». Non ritirarti, baby, non arrenderti. La quintessenza dell'America, riconfermata dopo l'11 settembre, quando con The Rising, Sollevarsi, Springsteen ha colto l'umore del paese ferito e umiliato, ma pronto al riscatto, nella prima e più completa riflessione letteraria sugli attacchi islamisti.
Negli anni di Bill Clinton, quelli dei soldi facili, dell'economia che tirava, della Borsa che volava, Springsteen ha scritto un album dedicato a Tom Joad, l'eroe di Furore, il romanzo sulla Grande Depressione reso immortale su carta da John Steinbeck, in musica da Woody Guthrie e al cinema da John Ford. Allora, in quei tempi di piena, Springsteen chiedeva che cosa stesse accadendo a una società che improvvisamente dimenticava il significato della povertà, che cresceva negli agi e viveva con un'irresponsabile spensieratezza.
Uno dei personaggi di Furore si chiama Muley Graves. Nella versione cinematografica del romanzo, Graves è costretto ad abbandonare la terra che coltiva per il pignoramento della fattoria. Il contadino non sa con chi prendersela. Gli dicono che non è colpa dello sceriffo. L'agente immobiliare non c'entra. Nemmeno la banca locale era responsabile. «Quindi – chiede Graves – noi a chi dobbiamo sparare?».
L'attuale crisi finanziaria non ha provocato i disastri sociali della Grande Depressione, ma la rabbia degli americani per le ingiustizie e le diseguaglianze emerse in questi mesi è tornata a essere un fattore politico importante, capace di influenzare e, stando ai sondaggi, anche di travolgere Washington. La ricetta pubblica di Springsteen è sempre quella del protagonista di Thunder Road: «Mostra un po' di fiducia, c'è qualcosa di magico in questa notte».


Sentirsi a casa on the road
John Steinbeck
Scrittore statunitense ( 1902–1968) e Nobel per la letteratura nel 1962.
Il suo Furore (1939) è il romanzo simbolo della grande depressione degli anni Trenta
Woody Guthrie
Nato nel 1912 a Okemah, è stato un cantautore e musicista folk statunitense. Fu tra i primi a intendere la musica come mezzo diretto di informazione e denuncia
Robert Frank
Fotografo e regista, nasce a Zurigo nel 1924 e si trasferisce nel 1947 negli Stati Uniti. Tra il 1955 e il 1956 viaggia negli Usa realizzando oltre 24mila fotografie
Philip Roth
Lo scrittore, nato a Newark nel 1933, ha dato voce nei suoi romanzi allo spirito dell'America contemporanea. Tra i libri più noti, Pastorale americana (1997)
22 agosto 2010

mercoledì 15 settembre 2010

Mercatino di oggetti nuovi, offerti a 1 EURO!

Domenica 26 settembre 2010: GRANDE MERCATINO DI OGGETTI NUOVI - TUTTO A 1 EURO!


Domenica 26 settembre 2010, un mercatino di oggetti nuovi, offerti a 1 EURO!
L'evento si svolgerà in piazza Monsignor Almici - Via Aldo Moro, 23 a Brescia (zona Brescia2 dietro il nuovo palazzo Ubi Banca), dalle ore 8.30 alle ore 20.00.
In vendita si potranno trovare: articoli casalinghi, di profumeria, oggetti da regalo, bigiotteria, accessori casa e decorazioni natalizie. Inoltre sono disponibili molti di capi di abbigliamento di occasione in ottimo stato, per bambini e adulti con offerta da 1 a 3 euro.
L'incasso va interamente in beneficenza a favore dell'ASSOCIAZIONE TELEFONO DIFESA ANIMALI.

 Questa Associazione è  SERIA, e ha difficoltà nel continuare la propria attività dato che il Comune di Poncarale rifiuta l'autorizzazione a continuare l'attività, nonostante l'ASL abbia certificato l'idoneità igienico-sanitaria dell'ambiente.
Stanno anche raccogliendo firme proprio per riuscire a continuare l'attività.
D

Dal sito http://www.telefonodifesaanimali.it/   :
Avvisiamo la cittadinanza che in data 30 giugno 2010, per decisione immotivata dell'Amministrazione Comunale, lo Sportello Tutela Diritti Animali del Comune di Brescia, gestito da 5 associazioni tra cui la nostra, ha cessato la sua attività durata più di dieci anni. Pertanto l'utenza telefonica intestata è chiusa.
In questi anni, l'attività dello Sportello è stata:
Informazione. Attraverso la distribuzione di pieghevoli, lo Sportello Tutela Diritti Animali del Comune di Brescia ha svolto un'attività importante dal punto di vista culturale, formativo e informativo, durante "~i~~ banchi pubblicitari, sia nelle sedi delle Associazioni aderenti sia in luoghi pubblici, consentendo di raggiungere un vasto numero di cittadini.
Formazione. Attraverso lezioni sul tema degli animali, tenute da medici veterinari nelle scuole d'infanzia, elementari e medie, si è voluta sviluppare la capacità di stabilire relazioni positive con gli animali, analizzando le problematiche relative alla convivenza uomo-animale in città. I bambini imparano così ad avvicinarsi in modo corretto a tutti gli altri esseri viventi e, inoltre, vengono sensibilizzati su temi come l'abbandono e la sterilizzazione.
Consulenza.   Avendo   la  possibilità     di     contattare telefonicamente o tramite e-mail    le    Associazioni,    il cittadino aveva un importante punto di riferimento. L'attività di consulenza telefonica in sede era limitata a due giorni la settimana, ma con il supporto di una segreteria telefonica che forniva un cellulare sempre disponibile per le urgenze.
Attività sul territorio. Considerate le numerosissime e predominanti richieste d'aiuto, si era reso necessario implementare l'attività divulgativa-informativa con l'attività pratica sul territorio, iniziando nel 2006 il progetto di contenimento dei piccioni (nato per preservare i beni monumentali e poi ampliato in aree urbane), il progetto di monitoraggio, di controllo, di cura e di tutela di numerose colonie feline, con relativo aiuto alle persone che se ne occupano (gattare).
Ci rammarica moltissimo il fatto che l'Amministrazione Comunale, più volte sollecitata, senza dare spiegazioni, abbia posto fine a questo importante servizio, nonostante sia previsto dalla normativa vigente sulla tutela degli animali e sulla prevenzione del randagismo.
Purtroppo, dopo undici anni di lavoro a tutela disinteressata degli animali, ora rischiano di venire disperse energie e competenze importanti.

martedì 14 settembre 2010

Centenario della Foresta Gardesana Occidentale

questo è solo uno degli eventi! per ulteriori info www.forestedilombardia.it

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Eventi Foreste da Vivere

21/09/2010


Centenario della Foresta Gardesana Occidentale

Foresta Regionale Gardesana Occ.

loc. Cascina Legnach
Gargnano (BS)

Come raggiungere il luogo:
Da Brescia: direzione Lago di Garda, Salò. Da Gargnano seguire le indicazioni per Capovalle, Magasa, Costa. Proseguire per 8 km e girare in direzione Valvestino, Magasa e Cima Rest. Subito dopo si passa nella frazione di Navazzo seguendo i cartelli per Turano e Capovalle. Si prosegue per 10 km affiancando la diga di Valvestino a sinistra, si oltrepassa un primo grande ponte e, a circa 20 m. prima dal secondo ponte, prendere stradina non asfaltata sulla destra e proseguire per 200 m.

Descrizione dell'evento:
Festa commemorativa in Foresta

PROGRAMMA:
Ore 9,00 – Laboratori didattici per le scuole del territorio, a cura della Cooperativa La Melagrana
Ore 10,30 – Anteprima della Mostra Fotografica “Il paesaggio mutato”, realizzata in occasione del Centenario con immagini d’archivio della Fondazione Negri.
Ore 11,00 – Visita alla Foresta di Legnach, primo nucleo storico della Foresta Gardesana Occidentale
Ore 12,00  –    Rievocazione della foresta a cura di Carlo Simoni, storico
- Intervento delle autorità presenti
- “poesia del bosco”, reading con Manuel Renga
- Scoprimento della lapide celebrativa
Ore 13,00 - Pranzo con prodotti tipici del territorio preparato dall’Associazione “Costa Nostra” di Gargnano.
La giornata sarà allietata dalle musiche tradizionali proposte dal gruppo “I Bagater de la Riviera”

Informazioni utili:
Per iscrizioni all'evento contattare Alessandra Lucentini tel. 030.3540333
alessandra.lucentini@ersaf.lombardia.it


Info Point ERSAF tel. 02.67404.451/581 (attivo dal lunedì al venerdì)
forestedavivere@ersaf.lombardia.it

lunedì 13 settembre 2010

Nuovo nucleare al palo costi, concorrenza e crisi




ROMA - Il "Rinascimento" nucleare segna il passo. Sembra così lontano il biennio 2007-08 quando Stati Uniti, Inghilterra e Italia decisero di costruire nuovi impianti dopo più di vent' anni di moratoria.
Aggiunti agli ordini di Paesi a lunga tradizione nel settore (Francia, Giappone e Corea) e alle economie emergenti (Cina, Brasile e persino gli Emirati arabi) annunciavano una cascata di nuovi impianti, quelli della terza generazione, più grandi e più efficienti.
Il primo bilancio dice: tanti studi, diversi miliardi di soldi pubblici stanziati, qualche promessa mancata e zero Kwh prodotti.
I tempi del settore si misurano in decenni, ma tutte le forze che spingevano verso il nucleare solo tre anni fa, si sono affievolite.
La recessione ha ridotto i consumi elettrici e i target di crescita futura sono stati spostati di almeno 5 anni (e in Italia non si tornerà alla domanda del 2008 prima del 2014).
Nel frattempo le materie prime concorrenti hanno migliorato i propri rendimenti: il prezzo del petrolio è ormai stabile nel canale 70-90 dollari da due anni. Se si depura il prezzo del barile dall' inflazione si scopre che siamo agli stessi livelli che hanno messo le nuove installazioni nucleari fuori mercato sin dalla metà degli anni ' 80. Il gas naturale ha fatto ancora meglio visto che, specie negli Stati Uniti, grazie ai nuovi ritrovamenti di "shale gas" i prezzi sono crollati. Non altrettanto si può dire dell' uranio arricchito, quello utilizzato dalle centrali in funzione. Gli ultimi dati sul consumo negli Usa (valgono il 30% del totale mondiale) mostrano come in cinque anni la richiesta si è ridotta mentre il prezzo è triplicato (da 15 a 45 dollari l' oncia) senza ripiegare per effetto della recessione.
Poi ci sono le energie rinnovabili, le uniche a poter sfruttare con il nucleare il sistema dei prezzi che penalizza chi produce anidride carbonica.
Ha creato molto stupore uno studio del professor John Blackburn della Duke University che individua proprio nel 2010 l' anno in cui il singolo Kwh prodotto da un pannello solare costa quanto quello prodotto dal nucleare.
Per quanto sia uno studio di parte (commissionato da un' associazione ambientalista del Nord Carolina contraria alle nuove centrali nello Stato), e i livelli di produzione delle due tecnologie non siano paragonabili, Blackburn ha colto un trend innegabile dai dati empirici: il solare continua a veder crollare i propri costi mentre il nucleare li vede crescere senza fine. Il caso più eclatante è l' Epr di Areva (il modello che Enel vuol portare in Italia), punta di diamante della terza generazione dei reattori.
I tre cantieri aperti in Francia, in Finlandia, Cina sforano budgete tempi: dovevano costare 4 miliardi l' uno e si viaggia già oltre i cinque. Una commissione speciale del governo francese, che puntava sull' Epr per far crescere le proprie esportazioni, ha ammesso gli errori e prepara una grande rivoluzione.
Rimane il fatto che nessuno al momento sa con certezza quanto costa una centrale di nuova generazione. I paesi più pragmatici come Svezia o recentemente la Germania hanno deciso di allungare la vita degli impianti esistenti, il cosiddetto "vecchio nucleare", ma si guardano bene da lanciare nuovi investimenti. I giganti elettrici per avviare i cantieri chiedono garanzie ai governi. In Inghilterra, dove la svolta nucleare è sopravvissuta con qualche patema al cambio di maggioranza tra laburisti e conservatori, si pensa a prezzi fissioa una tassaa favore del nucleare.
In Italia gli imprenditori sperano nell' inedito sostegno di Giulio Tremonti. Ancora ieri il ministro dell' Economia ha riconosciuto la necessità: «Dobbiamo fare il nucleare. Non possiamo andare avanti con i mulini a vento». Oltrea chiedere di riavviare ciò che la caduta di Scajola ha bloccato, Tremonti riceverà dal fronte nuclearista la richiesta di garantire prezzi fissi per l' elettricità prodotta (forse) tra un decennio dalle centrali. - 


LUCA IEZZI Repubblica — 12 settembre 2010   pagina 27   sezione: ECONOMIA

venerdì 10 settembre 2010

mostre foto naturalistiche a Brescia

Da stasera fino a domenica mostra a Violla Carcina, BS, presso la villa Glisenti. Molte foto sono veramente bellissime!
Da oggi  10 Settembre presso il museo di Scienze Naturali di Brescia in mostra le immagini del “Wildlife Photographer of the Year”. La mostra rimarrà aperta fino al 26 ottobre, dalle 9:00 alle 17:00, tutti i giorni della settimana. L’entrata è libera.
 
 

lunedì 6 settembre 2010

Se incontriamo un riccio…

Sono molti i pericoli che minacciano i ricci, i mammiferi più vecchi che esistono ancora sulla terra; la loro presenza risale al periodo terziario. Se gli uomini avessero più rispetto per l’ambiente circostante, potremmo evitare loro numerosi rischi.

Giugno e luglio, purtroppo, sono i mesi nei quali possiamo contare nelle strade il maggior numero di ricci, schiacciati dalle automobili o feriti gravemente. La reazione di un riccio di fronte un possibile pericolo è quella di immobilizzarsi e di drizzare gli aculei sul dorso, grazie alla sua fascia muscolare che contraendosi, gli permette di chiudere il corpo, arti inclusi, in una sacca cutanea; arrotolandosi su se stesso, forma una impenetrabile palla di spine che scoraggia quasi tutti i potenziali aggressori. Questa tecnica purtroppo risulta vana con la volpe, che, urinando sul riccio arrotolato, lo costringe ad aprirsi per poi scaraventarsi sul fragile musino, provocandone la morte.La tattica dell’appallottolamento, inoltre, risulta inutile quando il riccio viene travolto da un automobile in corsa, che inevitabilmente lo uccide.

I nemici dei ricci non sono solamente le volpi e le automobili. Si nutrono delle loro carni anche i tassi e le civette; i cani, soprattutto di taglia grande, possono provocare la morte di ricci adulti, così come i gatti possono ucciderne i cuccioli; ma dobbiamo sottolineare che il principale nemico del riccio è l’uomo, che, con i suoi molteplici interventi deleteri, causa spesso danni irreversibili alla natura. I tombini della canalizzazione, nei quali annegano o muoiono di fame.Le reti metalliche sotto tensione elettrica usate per arginare le mandrie, che costituiscono delle trappole mortali per i ricci, in quanto il filo più basso con tensione elettrica, è troppo poco distante dal suolo.Gli aspiratori utilizzati per risucchiare le foglie, strumenti infernali che a volte aspirano i piccoli ricci, tolgono il cibo ai ricci adulti (in quanto insieme alle foglie vengono anche aspirati insetti, larve, vermi, che rappresentano la fonte principale di cibo per questi mammiferi durante la stagione fredda) e tolgono loro anche il materiale primario necessario per la costruzione del nido prima dei mesi invernali e dunque prima del letargo costituito appunto dalle foglie. Le monoculture predominano, i vasti paesaggi naturali caratterizzati da cespugli, arbusti, siepi, boschi diventano sempre più rari e ai nostri amici, dunque, mancano gli spazi vitali dove trovare il cibo, costruire un nido e le piccole oasi naturali sono spesso troppo piccole per far si che una specie possa sopravvivere.Pesticidi, concimi artificiali, diserbanti, insetticidi, non solo vengono assorbiti dal nostro suolo, ma avvelenano e provocano la morte dei piccoli animali selvatici. Ogni anno molti ricci e altri animali perdono la vita a causa dei fuochi appiccati per bruciare l’erba e le foglie secche.Un’altra trappola mortale per i ricci e altri piccoli animali è rappresentata dalle piscine, che, non coperte di notte, non danno speranza a coloro che vi finiscono dentro; le pareti lisce e verticali impediscono ai malcapitati di risalire e dopo lunghi ed estenuanti tentativi di fuga, i piccoli animali muoiono agonizzanti.

Cosa possiamo fare noi, in caso dovessimo imbatterci in un riccio, sano che vaga di giorno, ferito, ammalato, orfano, di un riccio, insomma, bisognoso di un pronto intervento, prima di essere affidato alle cure di un CRAS (Centro Recupero Animali Selvatici)?
Ricordiamoci, che se l’istinto è quello di detenerlo in casa o nel proprio giardino, abbandoniamo questa idea, perché, il riccio è un animale protetto dalla Convenzione Europea di Berna del 1979 ed è, inoltre, protetto dal 1977 dalla legislatura italiana.
Prima di contattare un veterinario o un centro specializzato, è fondamentale effettuare le seguenti verifiche, per snellire la consulenza telefonica di un esperto:

- pesare l’animale è fondamentale per capire se abbiamo di fronte un neonato, un cucciolo, un adolescente o un adulto; se non abbiamo a portata di mano una bilancia, possiamo regolarci, se il riccio si appallottola, associando le sue dimensioni a quelle di un frutto: pesa circa 100/200 g. se ha le dimensioni di un mandarino, circa 300/400 g. se ha la grandezza di un arancia, circa 500/600 g. se il suo corpo ci ricorda un pompelmo o oltre 700g. se grande quanto un melone;

- guardare il colore degli aculei;

- verificare la sua vitalità (si chiude, barcolla, rimane aperto, se il riccio non si appallottola, potrebbe significare che il nostro piccolo mammifero è malato);

- verificare se presenti eventuali ferite, se sono rosse sanguinanti, marroni-verdastre, con secrezioni o meno; se sul suo corpo osserviamo delle ferite e queste sono vecchie di qualche giorno, emettono un odore cattivo, putrido. Potrebbero essere presenti delle uova di mosche o le larve che lo stanno mangiando vivo. In questo caso, la sola cosa che possiamo fare è contattare urgentemente un veterinario o ancora meglio un centro specializzato;

- controllare se presenti sul corpo dell’animale, parassiti come zecche, somiglianti a semi di anguria di vario colore, dal grigio al marrone, pulci, acari;

- segnalare dove abbiamo trovato il riccio, in campagna, in strada e con chi abbiamo trovato il riccio, se solo o con altri esemplari.

Se soccorriamo il riccio, nel periodo che va da aprile a settembre, dobbiamo verificare se nei dintorni, nascosti tra i cespugli, ci sono i cuccioli, perché potremmo trovarci di fronte ad un riccio femmina che ha da poco partorito e nel caso ci fosse una cucciolata, bisogna con dei guanti, prendere anche i piccoli, adagiarli in una scatola con una borsa dell’acqua calda e portarli insieme alla mamma in un centro di recupero. Mai però mettere mamma e cuccioli nella stessa scatola, perché quest’ultima potrebbe non riconoscerli e spaventata potrebbe addirittura ucciderli!

Dopo aver contattato un esperto e mentre attendiamo di agire per soccorrere i nostri piccoli amici, possiamo intanto metterli in una scatola alta in una stanza, mai al sole!
Se si tratta di un cucciolo o di un riccio ferito, mettergli nella scatola una borsa dell’acqua calda avvolta in un panno per evitare che si possa scottare e in modo da mantenere costante il calore del corpo, potrebbe andare in ipotermia anche d’estate.
Se ferito, mettere sul fondo della scatola, semplicemente della carta da cucina, che ci consente di verificare se sanguina o se ci sono delle pulci ed è più igienica di qualsiasi altro materiale; se invece il riccio è sano, possiamo rendere il suo giaciglio più accogliente, adagiando sul fondo fieno o paglia. Mai mettere segatura perché potrebbe andargli negli occhi, nella bocca o nella ciotola.
Una volta che lo abbiamo messo in un luogo tranquillo, possiamo nutrirlo, ricordandoci che è un animale carnivoro e quindi possiamo offrirgli delle crocchette o umido per gatti, il doppio della quantità che daremmo ad un gatto, perché il riccio ha bisogno di mangiare molto e non rischia l’indigestione! Mai dargli il latte di mucca perché non digerisce il lattosio, mai patate, insalata, carote, mandorle che sono tossiche per i ricci o nocciole!
Dobbiamo ricordarci che abbiamo di fronte un animale selvatico, quindi non dobbiamo trattarlo come un animale domestico, evitare di coccolarlo!
Non lasciarlo libero per casa, perché purtroppo, le nostre abitazioni sono piene di luoghi insidiosi per i nostri mammiferi: scale, la parte posteriore dei mobili, i cavi e le prese elettriche potrebbero trasformarsi in imminenti pericoli mortali.
Evitare di farlo entrare in contatto con i nostri amici domestici, perché una volta guarito e rimesso in natura, potrebbe avere difficoltà a distinguere gli animali pericolosi dagli animali per lui innocui.

Questi sono i principali consigli per un primo pronto soccorso prima di portare il nostro piccolo mammifero in un CRAS (Centro di Recupero Animali Selvatici – http://www.recuperoselvatici.it/elenco.htm), che provvederà a riabilitarlo in caso di malattia o ferite o che provvederà ad allevare i cuccioli rimasti eventualmente orfani!

Autore: Tamara Mastroiaco - redazione di Promiseland www.promiseland.it

venerdì 3 settembre 2010

il senso dell' uomo per l' infelicità

Se so che devo morire non capisco perché devo essere felice. La differenza tra l' uomo e l' animale sta tutta in questa consapevolezza, per cui l' infelicità è l' elemento costitutivo della condizione umana, che un tempo le religioni e oggi le psicoterapie o i ritrovati farmacologici cercano inutilmente di narcotizzare.
Ma si può davvero pensare di reperire la felicità attraverso la negazione del tratto caratteristico della condizione umana? E allora, come scrive opportunamente Edoardo Boncinelli in "Perché siamo infelici" (Einaudi, pagg. 184, euro 14): "L' infelicità non è un accidente, è un destino".
Oltre a Boncinelli, che affronta il problema dal punto di vista genetico, il libro ospita gli interventi di eminenti psichiatri e psicoanalisti quali Maurizio Andolfi, Vittorino Andreoli, Eugenio Borgna, Bruno Callieri e Paolo Crepet che cura questa raccolta dei saggi, il cui intento è di smascherare i falsi rimedi che ogni giorno ci vengono proposti da quanti traggono profitto dall' infelicità diffusa, per vendere quelle che già Eschilo chiamava "cieche speranze ( thuphlás elpídas )".
Con la chiarezza dello scienziato che non si fa incantare dalle cieche speranze, Boncinelli ci avverte che la natura ci genera per la continuità della specie e non per la felicità dell' individuo. Ma affinché gli individui non si demotivino una volta raggiunta questa consapevolezza, la natura provvede a quella serie di inganni che sono i desideri dell' individuo, i suoi progetti, i suoi investimenti, i suoi entusiasmi, particolarmente vividi nell' età giovanile che è poi la stagione più feconda per la generazione. "Resisteremmo infatti fino all' età riproduttiva - il traguardo che interessa alla natura - se non avessimo questa sorta di imbroglio da bambini, che non ci fa vedere perfettamente le asperità del mondo?" - si domanda Boncinelli e risponde: "Sono sicuro di no. Abbiamo una fase transitoria, ma lunga, di minore lucidità e ringraziamo Iddio. Altrimenti sono convinto che molta gente abbandonerebbe questo mondo ben prima della morte naturale".
A questa infelicità di base, che possiamo chiamare "biologica" se ne aggiunge una "culturale", determinata dal fatto che l' individuo promuove desideri, progetti, investimenti che, scrive sempre Boncinelli, sono "una molla alla base di tutta la civiltà e di tutta l' evoluzione culturale, ma anche una palla al piede, uno sconforto, uno sconcerto, un amplificare l' infelicità su tutta la vita", perché i nostri desideri sono quasi sempre sproporzionati alla nostra capacità di realizzazione, e lo scarto tra il desiderio e la sua realizzazione è la fonte di una nuova infelicità.
Su questo tema ritornano le bellissime pagine di Eugenio Borgna che, dopo aver esaminato tutte le forme patologiche di felicità e di infelicità, e i rimedi farmacologici che attutiscono i sintomi ma non danno un orizzonte di senso, affonda radicalmente lo sguardo sulla condizione tragica dell' uomo che non può vivere senza una produzione di senso, in vista della morte che è l' implosione di ogni senso.
Colta nella sua dimensione abissale, questa infelicità non è curabile con i farmaci, ma è possibile attenuarla attraverso un' intensificazione delle relazioni interpersonali, da quelle affettive a quelle di cura, recuperando quel tratto costitutivo dell' essenza dell' uomo che la natura prevede come "animale sociale". Ma che tipo di società è quella che ci circonda? Una società che ci riempie di oggetti da consumare, scrive Paolo Crepet, che stanno al posto di relazioni mancate. Una società che misura la felicità sui redditi invece che sulla circolazione dei sentimenti, fino al punto, sempre in nome dei redditi, di fare dell' infelicità un businnes.
Infatti, scrive Crepet: "assistenti sociali, religiosi, psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, filosofi, organizzazioni di volontariato, farmacologi, perfino le prostitute vedrebbero i loro ricavi ridursi se, d' un colpo o per magia, la maggior parte degli infelici cessassero di esserlo".
Per non parlare poi del controllo sociale che trae un indiscutibile vantaggio dall' infelicità: "perché è più facile controllare persone rassegnatee impotenti, piuttosto che vitali e ideative".
Sull' infelicità collettiva vivono anche le religioni che "promettono una felicità post mortem ", garantendosi in tal modo la sopportazione dell' infelicità su questa terra, fino a indurre a vivere i momenti di felicità con un mal celato senso di colpa, perché assaporare la felicità su questa terra potrebbe ridurre la fede nell' al di là. Ma, osserva opportunamente Crepet, non meno insidioso è il messaggio sotteso a ogni forma di pubblicità che, per invitarci a consumare, ci dice Life is now (la vita è adesso). E se la religione si alimenta di infelicità proiettando la felicità in un altro mondo, la cultura del nostra società, concentrandosi sul presente, esclude che il futuro della vita individuale e sociale possa essere migliore di quello attuale.
Ma se questa è la condizione umana, non è che per vivere bisogna frequentare e almeno in parte corteggiare la nostra follia? Questo è il messaggio dello psichiatra Vittorino Andreoli secondo il quale: "Per vivere bisogna essere fuori dalla realtà, essere dunque come i folli che l' hanno dimenticata, per poter sopportare di stare al mondo e di continuare a essere uomini, uomini senza senso, perché di fatto la condizione umana non ne ha alcuno". -
UMBERTO GALIMBERTI
Repubblica — 16 giugno 2010 pagina 58 sezione: CULTURA