venerdì 30 aprile 2010

Ecco lo Zen della ripresa

Ritrovare il piacere di passi felpati, dopo aver sprintato freneticamente. Godere di un gesto compassato, dimenticando un'agenda zeppa di impegni. La lentezza ha conosciuto molti estimatori in Occidente,
Tra Oriente e Occidente, uno sviluppo sostenibile a più velocità Dal Pil al Fil (la Felicità interna lorda) secondo il modello di Stiglitz soprattutto dopo fasi di dirompente velocità.

Festina lente, "affrettati piano", è il motto attribuito da Svetonio all'imperatore Augusto, ripreso dall'umanista Aldo Manuzio, inventore della moderna editoria. E nella tradizione occidentale non sono mancati, anche negli anni recenti, da Milan Kundera all'esperto tedesco di economia aziendale Seiwert Lothar, elogi della lentezza. Voci però in controcanto, levatesi in modo sincopato rispetto a una cultura sviluppatasi nel segno dell'accelerazione tecnologica e dei ritmi brucianti di nuovi mezzi e modi di comunicazione elettronica.
A torto o a ragione, è a Oriente che si tende a guardare - dallo zen alla mistica induista - quando si pensa all'armonia di un modo di vita più compassato. Sebbene oggi l'Asia appaia come il più ribollente e confuso contenitore di forze vitali in un mondo disorientato, che continua comunque a trovare negli Stati Uniti un ineludibile centro di gravità. Federico Rampini, corrispondente a New York di «Repubblica» - sull'onda di un'esperienza giornalistica e di vita che l'ha portato a conoscere a fondo Cina e India, ma anche luci e ombre della società europea e di quella americana - si conferma uno dei più acuti osservatori per esplorare le pulsioni incrociate East-West e distillare gli ingredienti base della ricetta di una nuova Slow Eco-nomy globale. Alla ricerca non solo di uno stile di vita dal passo più controllato, ma di un modello socio-economico più sostenibile ed equilibrato, dopo le sbornie finanziarie d'inizio millennio. Dimenticate ogni bizzarro esotismo new age o i consunti stendardi no global. Rampini ci introduce in un futuro prossimo di consumi più frugali ed energie rinnovabili. Un mondo in cui il rispetto dell'ambiente, come nel caso dell'acqua pura di Biella per tessere il cashmere di qualità, può diventare un'arma vincente della corsa
competitiva. Un pianeta in cui i ruoli si confondono e tutto viene shakerato: nelle città americane appaiono guidatori di risciò muscolosi e abbronzati, a volte anche ragazze in cerca di un impiego part time, mentre in India non conosce recessione il boom dello spionaggio prenuziale per indagare sulla moralità dell'aspirante marito. Rampini ci accompagna dietro gli smisurati cartelloni pubblicitari trompe l'oeil che promettono un futuro migliore davanti ai brulicanti cantieri edili di Pechino e Shangai; ma ci addita anche l'esperienza del Bhutan, il piccolo stato sull'Himalaya che, in sintonia con il premio Nobel Joseph Stiglitz, cerca di misurare non tanto il Pil, ma il Fil, la Felicità interna lorda.
L'autore scandaglia anche le radici storiche della fascinazione reciproca tra Oriente e Occidente, passata attraverso figure come il gesuita Matteo Ricci, primo cartografo a fine Cinquecento a realizzare un planisfero del mondo con spiegazioni e didascalie in cinese, o Wang Dayuan, l'ammiraglio che compì una traversata dal Mozambico a Ceylon, con centocinquant'anni di anticipo su Vasco de Gama.
E il futuro? Rampini concorda con chi vede consolidarsi un mondo bipolare, dominato dal direttorio di Cina e Stati Uniti, con un'Europa rassegnata a negoziare il proprio appoggio con chi offre di più, sebbene confortata da un modello di welfare rivalutato dalla crisi. «Affioreranno sempre più spesso delle possibili convergenze con la Cina - precisa l'autore - terreni sui quali è possibile perseguire interessi comuni: per esempio l'investimento nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie verdi». È questa una delle frontiere di sviluppo di una Slow Economy che non dovrà tradursi necessariamente in crescita lenta o immobilismo, ma al contrario «richiederà fantasia, innovazione, voglia di avventurarsi in esperimenti nuovi». Per non rassegnarsi al declino l'Occidente dovrà, per Rampini, muoversi in due direzioni: esplorare modelli economici più centrati sul benessere dei cittadini e trasformare i paesi ricchi in laboratori sperimentali di soluzioni da esportare nel Nuovo Mondo: Cina e India. «Nella consapevolezza - precisa l'autore - che la Slow Economy non può imporre a tutti la stessa velocità ma deve contemplare ritmi diversi, per aree del mondo che hanno bisogni profondamente diversi». Festina lente, come avrebbe chiosato Svetonio.
Enrico Briviodomenica del sole 24 ore, 6 dicembre 2009

Federico Rampini, «Slow Economy: rinascere con saggezza», Mondadori, Milano, pagg. 196, € 17,00.

giovedì 29 aprile 2010

Nucleare, anche in Francia i miti crollano

Con 58 centrali attive, i cugini d'Oltralpe devono comunque importare energia elettrica. E non hanno risolto l'annoso problema delle scorie
di Vincenzo Balzani, professore ordinario di Chimica dell'Università di Bologna» membro del Comitato scientifico WWF, è autore, insieme a Nicola Armaroli, di
"Energia per l'astronave Terra" (Zanichelli).

Si afferma spesso che la Francia, grazie al nucleare, è energeticamente indipendente e dispone di energia elettrica a basso prezzo. In realtà la Francia, nonostante le sue 58 centrali nucleari, importa addirittura più petrolio dell'Italia. È vero che importa il 40% in meno di gas rispetto all'Italia, ma è anche vero che è costretta ad importare uranio. Che poi l'energia nucleare non sia il toccasana per risolvere i problemi energetici, lo dimo- • stra una notizia pubblicata su Le Monde del 17 novembre 2009 e passata sotto silenzio: pur avendo 58 reattori nucleari, la Francia attualmente importa energia elettrica.
Secondo voci ufficiali, le quattro centrali Epr Are-va (6.400 MW) che si vorrebbero installare in Italia, costerebbero 12-15 miliardi, ma la costruzione in Finlandia di un reattore dello stesso tipo si è rivelata un'impresa disastrosa. Il contratto prevedeva la consegna del reattore nel settembre 2009, al costo

di 3 miliardi a tale data, i lavori sono in ritardo di 3,5 anni ed il costo è aumentato di 1,7 miliardi. Ma non è finita, perché nel novembre scorso le autorità per la sicurezza nucleare di Finlandia e Francia hanno chiesto drastiche modifiche nei sistemi di controllo del reattore, cosa che da una parte causerà ulteriori spese e ritardi e dall'altra conferma che il problema della sicurezza non è facile da risolvere.
Un impianto nucleare sul fiumi
C'è poi il problema dello smaltimento delle scorie, radioattive per decine di migliaia di anni, che neppure gli Usa sono stati capaci finora di risolvere. E c'è il problema dello smantellamento delle centrali nucleari a fine ciclo, operazione complessa, pericolosa e molto costosa, che in genere viene rimandata (di 100 anni in Gran Bretagna), in attesa che la radioattività diminuisca e nella speranza che gli sviluppi della tecnologia rendano più facili le operazioni. Si tratta di due fardelli che passano sulle spalle delle ignare ed incolpevoli prossime generazioni!
Il rientro nel nucleare, quindi, è un'avventura piena di incognite. A causa dei lunghi tempi per il rilascio dei permessi e l'individuazione dei siti (3-5 anni), la costruzione delle centrali (5-10 anni), il periodo di funzionamento per ammortizzare gli impianti (40-60 anni), i tempi per lo smantellamento alla fine della operatività (100 anni), la radioattività del combustibile esausto (decine di migliaia di anni), il nucleare è una scommessa con il futuro che ha un rischio difficilmente valutabile in termini economici e sociali.
Oggi la prima cosa da fare è risparmiare energia ed usarla in modo più efficiente. Autorevoli studi mostrano che nei Paesi sviluppati circa il 50% dell'energia primaria viene sprecata, e che l'aumento dei consumi energetici non porta ad un aumento del benessere, ma semmai causa nuovi problemi. È possibile diminuire i consumi energetici in modo sostanziale con opportuni interventi quali l'isolamento degli edifici, il potenziamento del trasporto pubblico, lo spostamento del traffico merci su rotaia e via mare, l'uso di apparecchiature elettriche più efficienti, l'ottimizzazione degli usi energetici finali. Quanto alle fonti di energia, l'Italia non ha petrolio, non ha metano, non ha carbone e non ha neppure uranio. La sua unica, grande risorsa è il Sole, una fonte di energia che durerà per 4 miliardi di anni, una stazione di servizio sempre aperta che invia su tutti i luoghi della Terra un'immensa quantità di energia, 10mila volte quella che l'umanità intera consuma. Una corretta politica energetica deve basarsi sulla riduzione degli sprechi e dei consumi sullo sviluppo dell'energia solare e delle altre energie rinnovabili. -


La migliore centrale? È quella che non c'è
di Sergio Ulgiati (UniversitàParthenope, Napoli)
Il problema dell'energia nei Paesi industrializzati non è risolubile in termini di nuove centrali da installare, bensì in termini di centrali da evitare. Fino ad oggi è stata perseguita la strada di una economia basata su grandi poli industriali, ad elevata domanda di energia, e su grandi consumi nel settore domestico e dei trasporti, a causa della scarsa efficienza energetica dei nostri edifici e della struttura di trasporto merci e passeggeri. Le conseguenze ambientali e sociali sul territorio circostante sono sotto gli occhi di tutti: inquinamento, devastazione estetica, asservimento del territorio alle necessità produttive. L'altra strada è quella della produzione e del consumo sostenibili, ossia basati su una struttura produttiva diffusa sul territorio, sull'efficienza energetica, sulle energie rinnovabili, e sull'uso locale delle risorse. Si possono ipotizzare due strade:
* la centrale "virtuale" (la centrale che non c'è...), che consiste nella riduzione dei consumi energetici grazie a una serie di accorgimenti per il risparmio e l'aumento di efficienza quali le caldaie a condensazione, i pannelli solari termici, la contabilizzazione autonoma del calore nei condomini, la sostituzione delle lampade a incandescenza con lampade ad alta efficienza, l'isolamento termico degli edifici;
* la centrale "diffusa" ossia una produzione elettrica equivalente a quella di una centrale tradizionale, ma ottenuta come somma di tante piccole installazioni solari fotovoltaiche, eoliche e da biomasse di scarto.
Nel corso del 2009 sono stati generati in Italia circa 900 MW di energia elettrica di origine fotovoltaica. Il rendimento energetico del fotovoltaico è salito a prestazioni vertiginose negli ultimi due anni, arrivando a un rapporto tra energia ottenuta ed energia investita oscillante tra 6 a 1 nei moduli più tradizionali a silicio e 40 a 1 nei più avanzati moduli a film sottile. Non c'è possibilità alcuna che il nucleare, tecnologia ormai obsoleta e fuori mercato, possa competere.


da: Panda WWF, aprile 2010

martedì 27 aprile 2010

attenzione al nucleare

Attenzione alla campagna mediatica che sta per scatenarsi dalle televisioni sottopadrone (quindi tutte), non appena Berlusconi deciderà che è venuto il momento di far cambiare idea agli italiani sul nucleare. Verremo bombardati da Uno Mattina fino alle trasmissioni notturne con messaggi tipo: “il nucleare è ormai sicuro!” “Cernobil è stato un errore umano” , “stiamo rimanendo indietro mentre tutti stanno costruendo centrali nucleari” etc. La verità è che le lobby nucleariste stanno cercando soldi per mantenere in piedi i loro costosi centri di ricerca e, mentre per la fusione ci sono già riusciti (hanno ottenuto 50 miliardi per il reattore Iter di Karadsh in Francia, finanziato dall’UE sempre “per non rimanere indietro” ) per la fissione devono ottenere fondi pubblici il più rapidamente possibile perchè i reattori esistenti stanno arrivando a fine ciclo, e rinnovarli tutti costerà molto di più che finanziare la terza rivoluzione industriale mettendo rinnovabili di ogni tipo su larga scala e facendo massa critica con idrogeno e smart grids, come suggerisce Rifkin. La realtà è molto semplice: Il nucleare non è nè sicuro, nè pulito nè economico! Non è sicuro perchè le scorie rappresentano ancora un problema checchè ne dicano i propagandisti del Foratom. Non è pulito perchè anche se i reattori non producono CO2 (si limitano a consumare quantità mostruose di acqua che non abbiamo), il processo di estrazione dell’uranio è estremamente emissivo e così pure i processi di arricchimento e smaltimento. Si calcola che il bilancio complessivo dell’intero ciclo nucleare è quello di una equivalente centrale a turbogas (Helen Caldicott “Nuclear is not the answer”). Non è economico perchè le centrali sono fuori mercato, come quella di Olkiluoto in Finlandia per la quale la Areva è già in contenzioso con il consorzio committente, per aver raddoppiato i prezzi in corso d’opera e non è ancora finita. E inoltre il nucleare fornisce solo il 6 percento dell’energia consumata globalmente, a fronte di un investimento dell’80 percento di tutte le risorse di ricerca energetica da sempre. Questo è un bilancio economico in perdita! Infine il nucleare non crea nessuna occupazione perchè è una tecnologia a altissima intensità di capitali e quasi nulla intensità di lavoro, quasi tutto specializzatissimo. Quindi ha anche un bilancio sociale in perdita.

da www.repubblica.it

lunedì 26 aprile 2010

Così i giorni della cenere hanno messo in crisi la civiltà


Quella che ci fa passare improvvisamente dall'euforia tecnologica alla percezione della nostra fragilità. Abbiamo spesso la presunzione di dettar legge alla natura, di leggere i suoi misteri come un libro aperto, addirittura di poter essere noi a salvare lei, ma basta il colpo di tosse di un vulcano che brucia in un lampo duecento milioni di euro per ridimensionare le nostre ambizioni. E restituirci un po' di senso della misura.


L'eruzione del vulcano islandese ha paralizzato il sistema dei trasporti dei paesi avanzati e riproposto il tema del rapporto fra l'uomo e i fenomeni fisici

Una donna grande come una montagna con un volto a metà tra il bello e il terribile. Così Giacomo Leopardi immagina la natura che si manifesta in tutta la sua spaventosa potenza ad un Islandese. Con la capacità visionaria che è solo dei geni, l'autore delle Operette morali anticipa gli scenari del presente facendo proprio della primordiale Islanda - terra di vulcani esplodenti, acque ribollenti e ceneri volanti - il simbolo di una natura più forte di ogni disegno umano.E capace di mettere in ginocchio lo strapotere della civiltà tecnologica e paralizzare il pianeta gettando un'ombra nera sulle nostre certezze.

Questa smisurata grandiosità della natura gli antichi la veneravano come una divinità onnipotente, una madre generosa e spietata che con la medesima indifferenza crea e distrugge. Laddove noi moderni di fronte alle stesse manifestazioni oscilliamo fra la supponenza e il senso di colpa, tra l'indifferenza e la paura.
Saccheggiamo il pianeta come se fosse a nostra completa disposizione e al tempo stesso celebriamo riti espiatori come l'Earth day.
E quando il soffio nero dell'Eyjafjallajökull oscura i cieli d'Europa e costringe a terra diciottomila aerei in un sol giorno ci risvegliamo bruscamente dal nostro delirio di onnipotenza. E ancora una volta, per noi come per gli antichi, il vulcano in fiamme diventa una maschera che nasconde il mistero della natura. Un modello di quel principio della vita e della morte che si rivela agli uomini solo nell'incandescenza mutevole e imprevedibile degli elementi. Proprio come diceva Eraclito, che considerava il fuoco all'origine delle cose, degli dei e degli uomini, nucleo generatore del cosmo.

La religione degli antichi era in realtà un pensiero della natura. E in ogni suo luogo e manifestazione riconosceva un dio. Giove, il re degli immortali, signore della pioggia e del fulmine, era identificato con le querce immense che coprivano le cime tempestose dei monti dove per lo più sorgevano i suoi santuari. E dove era possibile avvertire la sua voce nello scoppio delle folgori, nel mormorio delle foglie, nel rombo dei tuoni che risuonavano come gong soprannaturali. E i re dell'antichità, per somigliare al loro modello divino, portavano corone di foglie di quercia e imitavano il tuono percuotendo lastre di bronzo.
Erano cerimonie per affermare l'unione tra uomini e natura. Una sorta di matrimonio.

Come quello che gli antichi re di Roma celebravano con le dee della vegetazione e dell'acqua. Famoso fra tutti quello tra Numa Pompilio e la Ninfa Egeria, personificazione latina di Diana. Come dire che non è possibile un buon governo della terra senza avere stretto un patto con la natura. Con le parole di oggi lo chiameremmo un equilibrio virtuoso tra uomo e ambiente.

La vera differenza sta nel fatto che il pensiero degli antichi considerava l'uomo una parte della natura e non il suo centro. L'antropocentrismo, ossia l'affermazione dell'assoluta superiorità degli uomini rispetto alle altre specie viventi e nei confronti della natura in generale, è infatti figlio del cristianesimo. Ed è una delle ragioni storiche del relativo disinteresse dell'Occidente per le sorti dell'ecosistema. Sin dalle origini la religione del dio fatto uomo si caratterizza per una forte diffidenza verso tutto ciò che è natura, intesa come habitat, ma anche come ciò che nell'uomo stesso è semplicemente materia vivente. Verso la nostra parte animale insomma. Non a caso il diavolo viene spesso raffigurato in forma di bestia. Perché il dio della Bibbia crea la natura, ma non è la natura.

Già nei primi grandi pensatori della Chiesa, come sant'Agostino, si avverte il senso di un profondo distacco tra l'uomoe le altre specie, tra società e ambiente. Fondato sull'idea di una trascendenza dell'uomo rispetto a tutti gli altri viventi, sul modello dell'assoluta trascendenza divina. E, agli inizi della modernità, una delle divergenze fra il mondo cattolico e quello protestante sta proprio nel fatto che quest'ultimo conserva, pur secolarizzata, un'etica della natura, un senso della sacralità dei boschi, dei monti, dei laghi. Quasi una reminiscenza degli antichi culti germanici. Come ha scritto il grande antropologo Claude LéviStrauss, è stato il mito della dignità esclusiva dell'uomo in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio, a separarlo di fatto dalla natura. Facendone un re estraneo al suo regno. Oggi il nostro rapporto con la natura rappresenta la versione secolarizzata dell'antropocentrismo cristiano. Con la fede nel progresso al posto di quella in dio. Non ci sentiamo parti di un tutto, ma abbiamo diviso il tutto in parti. Il nostro immaginario ha parcellizzato quell'unità primordiale che gli antichi rispettavano religiosamente, dividendola in tante specializzazioni. Clima, pianeta, meteo, ambiente, atmosfera. Competenze separate del gran ministero della natura. È la forza della modernità, ma anche la sua debolezza.

Quella che ci fa passare improvvisamente dall'euforia tecnologica alla percezione della nostra fragilità. Abbiamo spesso la presunzione di dettar legge alla natura, di leggere i suoi misteri come un libro aperto, addirittura di poter essere noi a salvare lei, ma basta il colpo di tosse di un vulcano che brucia in un lampo duecento milioni di euro per ridimensionare le nostre ambizioni. E restituirci un po' di senso della misura.

Così i giorni della cenere hanno messo in crisi la civiltà
di Marino Niola - 22/04/2010

Fonte: La Repubblica

La fede e gli enigmi della fede


Il giorno che accetteremo tutte le forme di fede, senza esclusioni, forse diventeremo più fratelli, e più accoglienti gli uni verso gli altri. Ma per questo è necessario che chiunque abiti una fede non pensi di possedere la verità, e per giunta assoluta.


La sua risposta "Evoluzionismo vs creazionismo" apparsa su D La Repubblica del 6 febbraio scorso è densa di considerazioni interessanti, concrete e condivisibili. Ragionevole la separazione dei due ambiti di ricerca (se cosi si può dire) di scienza e fede. La prima risponde ad una domanda di senso del mondo reale (una spiegazione di esso), la seconda ad una domanda di senso dell'esistenza umana. Dunque meno reale? Quindi meno riscontrabile attraverso metodologie di tipo sperimentale? Non sono come lei giustamente sostiene due metodi somiglianti, ma pur nella differenza sono entrambi sostenuti da esigenze di impronta razionale.
Basta un po' intendersi sul concetto di Ragione e di Verità. È giusto limitare il tema della verità a ciò che è accidentalmente evidente? O può considerarsi "vero", quindi umanamente presente lo stesso bisogno di conoscenza che sempre ha spinto l'uomo nell'avventura dello "sperimentare varie possibilità di ipotesi'? Appartiene allo stesso bisogno di conoscenza del mondo anche la conoscenza delle strutture costitutive del proprio essere, facenti parte esse stesse del mondo in quanto appartenenti alla realtà umana? Di un Dio della atemporalità non si può fare nessuna esperienza, come del resto di una fede regolata dalle proprie suggestioni intimistiche. Ma di un Dio che si manifesta nella storia ponendo nel Figlio la possibilità di una nuova umanità della cui fondatezza è possibile fare esperienza?
Uno dei più grandi teologi del nostro tempo, Luigi Giussani, ha scritto innumerevoli testi per dare consistenza teoretica e opportunità pratica all'ipotesi che il cristianesimo sia un avvenimento di fronte a cui il soggetto uomo può imbattersi in ogni tempo. Giussani sostiene che l'incontro con un avvenimento cosìi genera il cambiamento della propria soggettività, rispondendo alle esigenze più caratterizzanti l'umano. E di questo può essere "ragionevole" fame esperienza. 0 no? Confidando in una sua autorevole risposta la saluto molto cordialmente. Tea Gamba entebeffallce.lt

Risponde Umberto Galimberti:
In quella lettera, in cui si discuteva del conflitto tra scienza e fede, sostenevo che si trattava di una controversia inutile per due ragioni. La prima è che né la fede né la scienza hanno a che fare con la verità, perché la fede "crede" proprio perché "non sa", e la scienza non ha mai preteso di dire la verità, perché è consapevole che le sue conclusioni sono deduzioni dalle ipotesi che ha anticipato, disposta a cambiarle quando ne trova di migliori. La seconda ragione faceva riferimento al fatto che la fede risponde all'esigenza di reperire un senso per la nostra esistenza, mentre la scienza si propone di pervenire a una conoscenza sempre più approfondita del mondo. Stante questi due diversi obbiettivi non c'è quindi tra loro un piano comune su cui contendere. Ora lei mi dice che fa parte della conoscenza del mondo anche la conoscenza di sé. Questo non glielo concedo perché, come ci insegna Kant, la conoscenza del mondo procede
con il metodo causale che cerca le cause dei fenomeni, mentre la conoscenza di sé procede con un'impostazione finalistica che cerca un senso, uno scopo, un fine alla propria esistenza. E scopi, sensi e fini non appartengono né alla ricerca né al metodo scientifico. Per cui, conclude Kant, noi possiamo avere solo una conoscenza "fisica" del mondo, ma non una conoscenza "metafisica", per cui possiamo solo "postulare" l'esistenza dell'anima e di Dio, ma non "dimostrare" l'esistenza dì queste entità. Lei mi dirà che Kant non ha incontrato, come don Giussani, il Cristo, ossia il figlio di Dio che si è fatto uomo. Ma che Dio si sia fatto uomo è un atto di fede, e la fede, come abbiamo detto, non ha a che fare con la verità, rispetto alla quale, come ci ricordano San Paolo e San Tommaso, rimane in timore et tremore multo perché la fede, sempre a loro dire, richiede un sacrifi-cium intellectus.
Ognuno di noi, per ragioni personali, può sacrificare il proprio intelletto, ma è una scelta personale che non si può chiedere a tutti. Quanto poi alla difficoltà di credere a un «Dio dell'atemporalità di cui non si può fare alcuna esperienza», come lei dice, le ricordo che sia i mussulmani, sia gli ebrei non credono a un Dio incarnato, e non per questo sono meno religiosi di noi. Il giorno che accetteremo tutte le forme di fede, senza esclusioni, forse diventeremo più fratelli, e più accoglienti gli uni verso gli altri. Ma per questo è necessario che chiunque abiti una fede non pensi di possedere la verità, e per giunta assoluta.

umbertogalimberti@repubblica.it

D, Repubblica delle donne, 24 APRILE 2010

I PARTIGIANI


I PARTIGIANI
Sarebbe bello se per legge fosse obbligatorio ascoltarne uno
Mi chiamo Anita Malavasi e il mese di maggio compio 89 anni. Sono diventata partigiana dopo l'8 settembre 1943, a Reggio Emilia, facevo trasporto munizioni, stampa, vettovagliamento. Poi, in montagna, mi hanno insegnato le armi, come usarle e accudirle. Il mio nome di battaglia era Lalla. Lo presi da un romanzo su una ragazza che combatteva al posto del suo fidanzato ucciso».

Era una bella ragazza? «Sì, ma noi eravamo state educate severamente, anche nel modo di vestire. Però sfruttavamo la nostra bellezza. Quando, con le armi addosso, passavo al posto di blocco in bicicletta.mi mettevo la gonna stretta e fingevo di abbassarmela, loro, fessacchiotti, fischiavano e io passavo». Le è mai capitato di uccidere? «Certo». Che sensazione dà? «La donna è sempre donna. Ma nel momento del pericolo anche la donna accetta le regole della guerra. Non è facile.
Nata ed educata per dare la vita, in guerra la vita la togli. È importante capire che non siamo diventate combattenti per spirito d'avventura. Ci furono torture orrende. Nella mia formazione avevo una ragazza, Francesca, che era incinta, ma era lo stesso così magra che scappò dalla prigione passando tra le sbarre della finestrina del bagno. Per raggiungerci camminò scalza nella neve per 10 km. Quando il bambino nacque lo allattò solo da un seno perché il capezzolo dell'altro le era stato strappato a morsi da un fascista. Ho visto ragazze con le parti intime bruciate dai ferri da stiro».
Quanto contava l'amore? «Niente. L'importante era aiutare, lo ero anche fidanzata, lo lasciai quando mi disse che fare la partigiana mi avrebbe reso indegna di crescere i suoi figli. Era un mondo maschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta. Si dormiva insieme, per terra, nei boschi, ma se uno mancava di rispetto veniva punito. La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso». Si è più sposata? «No. Però in montagna, avevo trovato un ragazzo... Lui sì, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso, aveva una mentalità aperta, ma uomini così non ne ho più trovati». Chi era? «Si chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia Fifa, anche se era coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944,
a 23 anni. L'ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il corpo fu ritrovato. È sepolto al cimitero di San Bartolomeo. Gli porto ancora i fiori... Dev'essere stato importante per me, se mentre ne parlo lo rivedo davanti. L'unico nostro bacio è stato d'addio».
Vuole dire qualcosa alle donne di oggi? «I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne». Ci sono generazioni che hanno fatto (l'Italia, la grande guerra, la resistenza, il sessantotto). Altre che hanno visto (Genova, l'11 settembre, l'Iraq). Poco prima di essere ucciso a 27 anni nella guerra di Spagna, Alistair Noon, poeta inglese omosessuale e comunista, scrisse: «Caro Robert, so bene che combatto per qualcosa che non durerà. Nessun futuro è per sempre. Combatto per avere un passato, perché un po' della mia vita riposi intatta nell'accaduto». Oggi l'Anpi, l'Associazione nazionali partigiani - che ha reso possibile l'intervista a Laila - conta 105mila iscritti (ma dal 2006 si accettano anche i non partigiani). Nel 2000, dieci anni fa, i partigiani viventi erano 29mila. Oggi sono 10-12mila. Sarebbe bello se, per legge, ognuno fosse obbligato ad ascoltarne uno. Domani è il 25 aprile.
24 APRILE 2010

Partigiani in processione

"Poveri partigiani portati in processione - nei telegiornali, alla televisione - sopravvissuti un tempo alle fosse comuni - ma seppelliti in questo tempo dall’informazione. - Sfilano il 25 aprile, con le medaglie appese alle bandiere - accanto alle mogli dei sottosegretari appena uscite dal parrucchiere - dicono sottovoce: “viva la Costituzione - ma adesso è tardi mi chiude la posta... devo prendere la pensione…" - Poveri deportati che mostrano la matricola alle telecamere - tra una pubblicità e l’altra il tetro tatuaggio - “questo sterminio vi è gentilmente offerto da una bibita gassata e da un famoso formaggio” - Poveri nomi e cognomi dei caduti di tutte le guerre - che stanno sempre sulla bocca degli onorevoli politici - con tutti quei morti in bocca c'avranno -sicuramente un alito pesante - la loro lingua è un camposanto... dove resuscitano ogni tanto… -- Poveri morti di Nassirya che forse ci credevano davvero - chi muore muore con onore... chi sopravvive vive nel dolore - povero Nicola Calipari che gli hanno pure intitolato un’isola pedonale - sarà contenta la moglie che ha sposato - una zona a traffico limitato? - Poveri parenti degli eroi -che almeno per un giorno - sono stati eroi anche loro, nei funerali in mondovisione - ma appena il giorno dopo, erano morti anche loro… - erano morti… che ricordavano altri morti. - Ma voi:
Ricordate i morti ma ricordateli vivi - Ricordate i morti ma ricordateli vivi. (Ascanio Celestini)". BUON 25 APRILE. ORA E SEMPRE RESISTENZA!"
Estrellita *.
da: www.beppegrillo.it

sabato 24 aprile 2010

report 25 aprile


Vi comunichiamo che Report andra' in onda domenica 25 aprile alle 21.30 su RAI TRE.
La puntata si intitola ''IL FUTURO E' PASSATO'' di Michele Buono e Piero Riccardi.

A cosa serve la spesa sociale? Il welfare e' solo uno dei tanti costi del bilancio dello Stato? E le pensioni, davvero si sta spendendo troppo e i conti sono fuori controllo?

Uno dei motivi certi di preoccupazione per la spesa pensionistica e' l'invecchiamento della popolazione e l'aumento della vita media dei cittadini nei paesi sviluppati. E' il dato di fatto da cui partono alcuni, per affermare che l'unica soluzione possibile e' diminuire le pensioni e dire ai cittadini che ognuno si arrangi da se', magari affidandosi a fondi, banche e assicurazioni che investono la pensione nei mercati azionari. Ma e' davvero cosi'?
Abbiamo cercato di capire cosa c'e' di vero in questa impostazione, se davvero i conti non tornano, se l'invecchiamento e' la principale causa di preoccupazione per chi fa i conti della previdenza. Nel corso della nostra inchiesta e' emerso pero' che a parte l'invecchiamento, che e' una realta', soprattutto ci sono meno giovani che lavorano e contribuiscono alle casse previdenziali. Poi c'e' un'altra causa, meno visibile ma altrettanto grave: parliamo di quello che gli economisti chiamano il ''lavoro cattivo'', quel lavoro precario e atipico che produce pochi versamenti contributivi ? oltre che basse retribuzioni. L'Ires-Cgil ha calcolato che in Italia esistono 49 forme contrattuali diverse, la gran parte delle quali rendono non solo piu' flessibile il rapporto di lavoro, ma lo precarizzano, incidendo tra l'altro sulla capacita' contributiva di un sempre maggior numero di lavoratori. Salari bassi e lavoro precario, a tempo parziale e dal futuro incerto, influiscono sulla capacita' dei giovani a metter su famiglia, AD avere dei figli, contribuendo cosi' all'invecchiamento della popolazione. Il 70% dei lavoratori sotto i 35 anni ha uno stipendio medio di meno di 1000 euro al mese. Nel corso della nostra inchiesta e' emerso anche che quella che viene definita ''anomalia Italia'', ovvero che in Italia si spende troppo rispetto agli altri paesi europei per le pensioni, non risponde al vero. Nella pratica le differenze di dati e i criteri di calcolo confrontati con quelli degli altri paesi europei, dimostrano che la spesa italiana e' in linea e persino sotto la media europea. Cosi' come un altro dato che ci viene sottoposto continuamente che dipinge l'Italia come un paese di invalidi: l'Italia spende al di sotto della media europea e a livello di Portogallo e Grecia. Un viaggio nel mondo del popolo dell'Inps e dell'Inpdap per cercare di capire cosa aspettera' a chi andra' in pensione tra 20, 25 anni. Perche' a preoccupare non sono i conti, ma la destrutturazione del mercato del lavoro. I giovani non devono prendersela con chi e' in pensione oggi ma con il loro ''lavoro cattivo''. E' li' che bisogna agire.

Andra' inoltre in onda:

''DIAMOCI ALL'IPPICA'' di Luca Chianca

Segue sinossi:
L'Italia, con i suoi Ribot, Tornese e Varenne e' ormai entrata nell'olimpo dell'ippica. Un tempo gli ippodromi erano luogo di incontro per famiglie e appassionati scommettitori. Oggi sono cambiate molte cose e forse anche la passione degli italiani per i cavalli perche' quello che e' certo e' che il settore e' in crisi da anni come l'ente pubblico che lo dovrebbe promuovere: l'Unire, L'Unione Nazionale per l'Incremento delle Razze Equine.


''CRONACA DI UN'ERUZIONE''
Le immagini piu' spettacoli dell'eruzione del vulcano Eyjafjallajökull, Che ha paralizzato l'Europa e costretto milioni di cittadini a guardare il cielo in attesa degli eventi.

La GOODNEWS di questa settimana s'intitola MAESTRI DI STRADA di Giuliano Marrucci

Barra, San Giovanni, quartieri spagnoli, Rione Traiano. Quartiere di Napoli dove tre bambini su dieci non arrivano a prendere la terza media, diventando prede facili della criminalita' sempre a ricerca di manodopera. Contro questa spirale di emarginazione e violenza da dodici anni lottano quotidianamente un gruppo di insegnanti, educatori, psicologi e operatori di strada. Sono i maestri di strada.

Videochat
Piero Riccardi sara' online lunedi' dalle 15 alle 16 per rispondere in diretta video a domande, curiosita' e dubbi su "IL FUTURO E' PASSATO" in onda domenica. Ogni eventuale modifica dell'orario sara' comunicata sul sito.

Vi informiamo inoltre che sono previste le repliche di questa puntata su Raisat Extra nei seguenti giorni:
lunedi' alle 10 e alle 21 e sabato alle 23.

E' visibile su Digitale terrestre in Sardegna, Lazio (escluso di Viterbo), Campania, Piemonte, Trentino e Valle D'osta.
Rai Sat Extra e' visibile su tutto il territorio nazionale attraverso la piattaforma satellitare TvSat utilizzando l'apposito decoder (TvSat).

Il video e la trascrizione integrale del testo della nuova inchiesta sara' on line sul nostro sito www.report.rai.it dieci minuti dopo il termine della messa in onda.

Afghanistan


battibecco di Massimo Fini
INDECOROSI PASTICCI
In Afghanistan accadono cose grottesche. Una volta erano i
talebani a sequestrare gli italiani. Oggi sono i nostri alleati. Non
intendo la cricca di Karzai che è alle dirette dipendenze
dell’Amministrazione Usa e non avrebbe mai permesso a quel frillo
del governatore di Lashkar Gah di mettere le mani su dei nostri
connazionali senza, non dico l’approvazione ma l’input degli
americani e degli inglesi che sono stati i registi dell’intera operazione.

Come in ogni sequestro è stato richiesto un riscatto per il
rilascio dei tre di Emergency. I servizi segreti afghani,
corrottissimi come tutta la polizia, hanno chiesto e ottenuto
dal governo italiano il solito milione di dollari che si sono
spartiti con Karzai (non è un caso che la trattativa si sia
sbloccata dopo che il presidente Quisling dell’Afghanistan è
intervenuto personalmente sui servizi segreti che nel giro di
qualche ora hanno trasformato accuse gravissime, quelle di
aver partecipato alla preparazione di un complotto per
uccidere il governatore di Laskar Gah e di aver responsabilità
dirette nel sequestro del giornalista di Repubblica Daniele
Mastrogiacomo e nell’omicidio del suo interprete, in un
verdetto di “non colpevolezza”. Una virata a 360 gradi.
In quanto agli anglosassoni hanno ottenuto quello che
volevano: la chiusura, almeno temporanea, dell’ospedale di
Emergency a Lashkar Gah. La Nato sta infatti per lanciare una
grossa offensiva contro Kandahar, la roccaforte storica dei
talebani. Kandahar non è un villaggio, è una grande città ed è
presumibile che i bombardieri americani facciano una messe di
civili più abbondante del solito. Del resto tutta Kandahar –
anche quelli che non combattono direttamente – è talebana e
non è facile distinguere. Emergency sarebbe stata un testimone
terribilmente scomodo ed era quindi necessario toglierla di
m e z zo .
Tutti questi indecorosi pasticci non ci sarebbero se gli
occidentali avessero avuto l’onestà di dichiarare guerra
all’Afghanistan invece di definire la presenza dei loro 130 mila
soldati “un’operazione di pace” parandosi dietro l’imposizione
di un presidente fantoccio come Karzai (ex consulente della
Unocal, la grande compagnia americana che vorrebbe costruire
il famoso gasdotto che, attraversando tutto l’Afghanistan,
dovrebbe portare il gas dal Turkmenistan al Pakistan, cioè al
mare – uno dei gravi torti del Mullah Omar era che voleva
affidare la costruzione del gasdotto alla Bridas argentina
diretta dall’italiano Carlo Bulgheroni). Con una dichiarazione
di guerra non ci sarebbero Ong di ogni tipo piazzate nel pieno
centro del campo del nemico, giornalisti e “anime pie” di tutti i
generi svolazzanti per il Paese. Ci sarebbe unicamente la Croce
rossa internazionale che, prima che Scelli, il protetto di
Berlusconi, ne facesse un caravanserraglio imbarcando
chicchessia, aveva i soli compiti che deve avere: la cura dei feriti
di tutte le parti contendenti e la tutela dei prigionieri. Durante
la Seconda guerra mondiale non sarebbe stato nemmeno
pensabile che un giornalista tedesco si muovesse
liberamente in territorio inglese, e viceversa, o che i
tedeschi o gli inglesi avessero un loro ospedale in
territorio nemico. Questi sono gli equivoci cui
porta una “non guerra” che è invece una guerra.
Che non ha più alcuna giustificazione, se mai ne
ha avuta una, e che è la più vigliacca che
si sia mai vista, perché da una parte c’è
gente che combatte con aerei
fantasma, privi di equipaggio, i Dardo
e i Predator, e dall’altra uomini in
ciabatte che si battono quasi a mani
nude .
www.ilribelle .com

sabato 17 aprile 2010

saviano e la pubblicità alla mafia

Eh si, l'Italia nel mondo è conosciuta per la mafia...Tanto che alcuni documenti si trovano solo all'estero.
In patria vengono fatti sparire: ad esempio, "Berlusconi mafioso? 11 domande al Cavaliere", titolava in prima pagina "La Padania" il 10 luglio 1998.
Se si va sul sito de "la Padania" da molto tempo non si trova nulla, solo la scritta " tra pochissimi giorni saremo on line". oppure "access denied".
Continuo ad essere curioso di vedere se rimetteranno in archivio anche il numero del 10 luglio 1998....che si trova solo su un sito estero.

vedi i documenti originali su http://www.alain.it/2009/04/15/berlusconi-sei-un-mafioso-rispondi-la-padania-1998/


Ma perchè il PD (o l'opposizione, entità che in Italia è sparita anch'essa) non lo sventola, questo numero della Padania? Forse che sotto sotto, pur di liberarsi del Berlusca, si è pronti a fare inciuci anche con Bossi padre e (sob) figlio?

mercoledì 14 aprile 2010

curarsi con la cucina...

CUCINA , CHE CURA !

giornate di teoria e pratica per imparare piatti e rimedi che aiutano ad alleviare o prevenire numerosi problemi di salute

domenica 9 maggio 2010
c/o associazione BIOHEAVEN
Esenta di Lonato

MENOPAUSA E OSTEOPOROSI 

…per attenuare o prevenire i problemi legati a questa fase della vita femminile, proviamo a spegnere i “bollori” e a intervenire prima che le ossa scricchiolino !…

il corso si svolge dalle 10,00 alle 16,30
e comprende una parte teorica, una pratica e il pranzo
   
conducono:

Elena Romagnoli, insegnante di cucina naturale, “chefa” a domicilio,
diplomata alla Scuola di Cucina e Terapia Alimentare
“La Sana Gola” di Milano
e
Renato Zanola, chef di Bioheaven, insegnante di cucina naturale, diplomato alla Scuola di Cucina e Terapia Alimentare
“La Sana Gola” di Milano

per ulteriori informazioni chiamare il 334  5890314
o scrivere a lecuochealpotere@livecom.it

lunedì 12 aprile 2010

la mensa scolastica e Adro

Come è finita? Un cittadino si è offerto di pagare e ha scritto una lettera aperta. 
Alla meditazione di tutti.
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Lettera di un cittadino di Adro

Io non ci sto
Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità.
Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film "L'albero degli zoccoli".
Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per
vivere bene.
E' per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa
scolastica.
A scanso di equivoci, premetto che:
- Non sono "comunista". Alle ultime elezioni ho votato per FORMIGONI. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona.
So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell'educazione.
Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell'Ucraina.
Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l'insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male.
I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l'asticella dell'intolleranza di un passo all'anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, ma potrei portare molti altri casi.
Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri , ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni "miserevoli". Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino..)
Ma dove sono i miei sacerdoti? Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti "urlare", scuotere l'animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il "commercio".
Ma dov'è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare "partito dell'amore"? Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l'Italia? So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti "compagni che sbagliano".
Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle loro famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le loro belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1200 euro mese (regolari).

Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l'amministrazione per non trovare i soldi per la mensa? Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno? Ma quanto rendono (o quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30.000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50.000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto? Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? E' già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.
Il sonno della ragione genera mostri.
Io  sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro. Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farci la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.
E chi semina vento, raccoglie tempesta!
I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L'età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quei giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi? E se non ce lo volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso. E' anche per questo che non ci sto.
Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani.
Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all'uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l'amministrazione, in tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l'anno scolastico 2009/2010. Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno o vorranno pagare il costo della mensa residuo resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa.
Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto varrà la spesa. Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno te notti in discoteca o a bearsi con i valori del "grande fratello".
Il  mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie. Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo.
Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa dì avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo. Posso sopportarlo. L'idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce.
Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c'è, ma solo per tutto il resto.
Un cittadino di Adro

Il vangelo della giustizia - di Vito Mancuso

Quando si parla di «preti pedofili» si toccano due ordini di problemi che occorre tenere rigorosamente distinti: il reato di pedofilia commesso da alcuni esseri umani e la vita delle comunità ecclesiali dentro le quali questi reati sono avvenuti – e forse ancora avvengono.

Il primo aspetto si occupa dei preti pedofili in quanto «pedofili» e come tale ha anzitutto un risvolto giuridico, per la precisione penale, consistente nel difendere i nostri figli da chi commette simili mostruosità, senza alcuna distinzione sull´identità dei colpevoli, siano essi preti, suore, vescovi, laici o che altro.
Un pedofilo è prima di tutto un criminale che va isolato e punito. Sempre al primo aspetto del problema pertiene il risvolto antropologico e psicologico che affronta la questione di come sia possibile una tale sconcertante aberrazione, a cui, per quanto ne so, solo gli umani tra tutti gli esseri viventi possono arrivare: capire la causa di un male è il primo fondamentale passo per estirparlo. Questo primo ordine di problemi riguarda la società nel suo insieme, credenti e non credenti, soprattutto alla luce della terribile verità secondo cui la gran parte degli atti di pedofilia avviene tra le mura domestiche.
Il secondo ordine di problemi scaturisce dal fatto che i pedofili in questione sono «preti» e in questa prospettiva i problemi riguardano in particolare la coscienza credente. Sono convinto che tutto dipenda dal chiarire che cosa significa credere in Dio. Intendo dire crederci realmente, non come una specie di condizione preliminare della mente per far parte di una grande associazione umana qual è (anche) la Chiesa cattolica, con la sua bella porzione di potere e di interessi nel mondo. Crederci come qualcosa di vitale, di esistenzialmente decisivo, oserei dire di bruciante. Che cosa significa credere in questo modo nel Dio vivente? Io penso che tale fede in Dio equivalga al credere nella giustizia quale dimensione suprema dell´essere. Giustizia e verità. Di fronte alla storia col suo inestricabile impasto di bene e di male, la vera fede sa che il bene è la realtà definitiva, ultima, assoluta, e come tale giudicante la storia e chi la vive. Il Cristo giudice di Michelangelo che troneggia nella Cappella Sistina alza il suo braccio non solo alla fine, ma anche in ogni momento della storia. E se c´è una qualità che caratterizza il Dio biblico, essa consiste nel diritto e nella giustizia perché «egli ama il diritto e la giustizia» (Salmo 32,5) e «diritto e giustizia sono la base del suo trono» (Salmo 88,15). Non a caso, tra le otto beatitudini di Gesù, solo la giustizia viene ripetuta due volte quale causa di beatitudine: «beati quelli che hanno fame e sete della giustizia», «beati i perseguitati per causa della giustizia». Ne viene che esercitare la giustizia è la prima fondamentale caratteristica del vero credente perché tale esercizio equivale a onorare il primo comandamento, non essendo «non avrai altro Dio all´infuori di me» nient´altro che il supporto teorico della prassi «non ti comporterai in altro modo all´infuori della giustizia». Non in modo tattico, accorto, prudente, diplomatico (strategie molto in uso nei palazzi del potere di ogni tempo); ma solo e semplicemente in modo giusto.
La giustizia è rappresentata al meglio dall´immagine della bilancia. Oggi su un piatto ci sono le esistenze di migliaia di bambini in tutto il mondo (America, Australia, Europa) irreversibilmente devastate a un triplice livello: fisico, psicologico e spirituale. Che cosa è disposta a mettere sull´altro piatto la Chiesa cattolica perché la bilancia possa essere in equilibrio e quindi rappresentare al meglio la giustizia, umana e divina al contempo? Non penso che abbiano peso alcuno le dichiarazioni che gridano al complotto, agli attacchi, all´assedio, esercitando la medesima tattica disorientante spesso utilizzata dai potenti della politica. Occorre piuttosto guardare in faccia la terribile verità e trarne le giuste conseguenze. Torno quindi a chiedere: che cosa mettete sul piatto della bilancia, voi pastori della Chiesa, quando dall´altra parte ci sono l´innocenza e la fiducia di giovani vite che mai potranno più essere come prima? Non si tratta di difendersi davanti agli uomini come una qualunque associazione umana, si tratta di rispondere davanti a Dio. Sapendo peraltro che il mondo intero vi guarda, e che da come risponderete – cercando giustizia e verità, oppure no – si misurerà l´autenticità della vostra fede. E che dall´autenticità della vostra fede in questo terribile frangente dipenderanno per gran parte le sorti del cristianesimo in occidente.
La peculiarità di questo scandalo non sta infatti nella pedofilia, forse neppure nel fatto che i pedofili in questione siano preti, quanto piuttosto nel fatto che voi gerarchie sapevate di questi crimini e che, per non indebolire il potere della struttura politica della Chiesa nel mondo, tacevate e insabbiavate.
Non sto forzando i toni, è stato mons. Stephan Ackermann, vescovo di Treviri e incaricato della Conferenza episcopale tedesca per la questione abusi, a parlare di «insabbiamento» e di «occultamento» (Rhein Zeitung del 16 marzo scorso). Per interi decenni avete preferito l´onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Purtroppo le dichiarazioni di molti zelanti apologeti in questi giorni, comprese quelle del cardinal Sodano, appaiono esattamente in linea con la politica degli anni passati all´insegna dell´insabbiare e dell´occultare.
Ancora una volta, non ci si preoccupa di essere all´altezza della giustizia divina e delle anime delle vittime, ma dell´onorabilità del papa, o per meglio dire dei papi (perché una cosa deve essere chiara: se Benedetto XVI viene descritto come il più solerte nemico della sporcizia della pedofilia, ciò non può non gettare un´ombra abbastanza cupa sui ventisette anni di pontificato di Giovanni Paolo II). Gli zelanti apologeti agiscono come se il papa avesse qualcosa da perdere a seguire semplicemente le parole di Gesù nel Vangelo: «È inevitabile che avvengono scandali ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli». Vogliono salvare la Chiesa, ma non capiscono che è proprio il loro atteggiamento a renderla sempre più distante dalla sete di giustizia che pervade il nostro tempo.
(Tratto da: la Repubblica – giovedi 8 aprile 2010)

giovedì 8 aprile 2010

Le 10 linee guida dell’Eco-design

da: www.greenme.it

Quando si parla di design, è difficile trovare una definizione univoca, una matrice comune capace di racchiudere l'essenza di questo concetto.

La capacità di bilanciare arte e utilità? Forse. La massima espressione di passato e futuro di un prodotto? Anche. Semplicemente qualcosa di bello? Difficile a dirsi. Quello che è certo è che, se davanti alla parola design mettiamo un prefisso che a noi di greenMe.it piace tanto, la parola cambia e diventa Eco-design, la definizione inizia ad essere più chiara e soprattutto ne esce un bel decalogo delle 10 linee guida. Le 10 regole da seguire per fare del design un'arte sostenibile.

Ogni prodotto ha un impatto sull'ambiente e, per creare prodotti veramente sostenibili, è indispensabile valutare la soluzione ambientale più indicata. Per una scelta a impatto zero o quasi iniziate prendendo in esame il ciclo di vita del prodotto, adottate un approccio sistematico di analisi integrata di sistema. Ogni componente ha una funzione precisa e un ciclo di vita da studiare. Per poter fare bene il proprio lavoro, anche i designer hanno bisogno di strumenti semplici e facilmente applicabili. Le 10 linee guida servono proprio a questo.

1. Concepire un prodotto significa concepirne il ciclo di vita.
Invece di disegnare prodotti "green" cercate di orientarvi su cicli di vita sostenibili. Quanta energia usa un prodotto nel corso del suo ciclo di vita, dalla culla alla tomba? O meglio ancora, dalla culla alla culla! Quanta energia impieghiamo per estrarre o recuperare quel materiale? La sua manutenzione richiede vernici particolari? Trattamenti ad alto impatto?Mai perdere di vista il tipo di materiale, l'energia consumata e la tossicità.

2. I materiali naturali non sono sempre la soluzione migliore.
È comune pensare che i materiali naturali siano più adatti di quelli artificiali. È sempre vero? Sembra proprio di no. Prendiamo questo esempio. La produzione di 1 kg di legname genera meno emissioni della produzione di 1 kg di plastica. Ma avete pensato alla vernice utilizzata per conservare il legno? All'energia usata per asciugarlo? Alcuni prodotti richiedono legname in quantità 10 volte superiore alla plastica. La plastica può essere spesso riciclata, il legno no. Se pensiamo al peso specifico dei due materiali, possiamo veramente confrontare un chilo di legname con un chilo di plastica? Questo non significa che il legno non vada bene, anzi, ma le valutazioni da fare prima di prendere una decisione definitiva sono veramente tante.

3. Il consumo energetico viene spesso sottostimato.
Molti designer focalizzano la loro attenzione sulla selezione dei materiali. Questo non è sempre corretto. Produrre e utilizzare un prodotto richiede energia, che ha un impatto sull'ambiente. Questo semplice esempio potrà essere d'aiuto:10 KWh di elettricità hanno bisogno di 2 Kg di petrolio. Produrre 1 Kg di plastica necessita da 1.5 a 2.5 Kg di petrolio. Una macchina del caffè usa 300 KWh di elettricità nella sua vita, l'equivalente di 60 Kg di petrolio. Un bel consumo. Mentre per produrre la macchina del caffè viene usato meno di 1 Kg di plastica. Fa pensare.

4. Aumentare la durata di vita del prodotto.
Potete influenzare l'aspettativa di vita del prodotto in diversi modi. Renderlo più durevole da un punto di vista tecnico, o modernizzarlo facendo in modo che possa essere aggiornato senza doverlo sostituire. Ancora più importante, disegnare il prodotto in modo che le persone si affezionino. Molti oggetti non vengono buttati via perché sono rotti, ma perché i proprietari sono stanchi di loro.

5. Non disegnate prodotti, bensì servizi.
Le persone non sempre cercano un prodotto. Spesso vogliono una soluzione a uno specifico problema. Un servizio più che un prodotto può essere la giusta soluzione. Per esempio un sistema di car sharing è una soluzione per tutte le persone che hanno bisogno dell'auto occasionalmente.

6. Ridurre al minimo i materiali.
Usare meno materiali potrebbe sembrare ovvio, ma è più complicato di quanto si creda. Spesso si può ridurre la quantità di materiale riducendo le dimensioni, la resistenza e innovando le tecniche produttive. Se si può risparmiare nel peso, può essere un vantaggio usare materiali che hanno un alto carico ambientale per chilo. Questo aspetto è particolarmente vero nei trasporti, dove meno peso significa meno benzina consumata.

7. Usare materiali riciclati.
Non fate solo in modo che il prodotto sia riciclabile, ma usate materiale riciclato per crearlo. Se il prodotto sarà solo riciclabile, non ci sarà domanda di materiale riciclato in futuro. Se creiamo una domanda di materiale riciclato, l'offerta crescerà sicuramente.

8. Rendere un prodotto riciclabile.
Molti prodotti possono essere riciclati, ma solo pochi vengono realmente recuperati e sono quelli che possono essere smontati con facilità. Ottimizzare il design, significa anche aumentare le chance che il prodotto venga riciclato. Ad esempio, se volete riciclare la plastica non utilizzate adesivi di carta, non mettete insieme plastiche diverse fra loro, perché hanno diverse caratteristiche di recupero termico.
Se volete riciclare le stoffe, pensateci due volte. È meglio bruciarle rimettendo in uso l'energia.

9. Ponetevi domande apparentemente banali o assurde.
Molto spesso le decisioni si basano su pratiche comuni: abbiamo sempre fatto questo in questo modo e ha sempre funzionato bene. Perché non continuare così? Ma se vi porrete delle ovvie ma poco frequenti domande sul riciclo e il riuso, potrete apportare miglioramenti giganteschi nella performance ambientale del vostro prodotto.
Per capire meglio: perché progettare una confezione per mantenere freschi gli alimenti per 18 mesi quando i prodotti vengono consumati entro 3 mesi? Porsi la domanda significa modificare radicalmente le tecniche di imballaggio e quindi l'impiego dei materiali per il packaging.

10. Diventare un membro O2.
I veri cambiamenti si producono con la fantasia e l'immaginazione. Un gruppo di designer sta progettando proprio questo unendosi nell'O2: un network internazionale di design sostenibile. Condividono idee, scoprono strumenti e si divertono assieme. Fare comunità può aiutare l'ambiente e dare vita a nuove forme di design.

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Fonte: Greenme.it

Forniture ecologiche per Riva del Garda Fierecongressi

Stampa E-mail
Riva del Garda Fierecongressi, azienda da sempre attenta alle tematiche ambientali e fortemente legata al territorio, ha scelto di implementare un sistema di forniture con criteri di preferibilità ecologica per migliorare le performance ambientali degli eventi.
Nell’ambito del progetto Eventi Sostenibili® , che ha certificato la quinta edizione di ExpoRiva Caccia Pesca Ambiente recentemente conclusa, Riva del Garda Fierecongressi ha acquistato:
  • carta ecologica per la stampa dei materiali di comunicazione, ridotti del 30%; 
  • riduttori di flusso per tutti i rubinetti dei bagni, per ridurre i consumi idrici;
  • detergenti ecologici, carta igienica e salviette a marchio Ecolabel;
  • contenitori per la raccolta differenziata in plastica riciclata a marchio Plastica Seconda Vita;
  • energia elettrica derivante prevalentemente da fonti rinnovabili garantita dal Gruppo Dolomiti Energia;
  • alimenti per la ristorazione interna da agricoltura biologica o a "km zero".
Fiore all'occhiello della manifestazione, l'utilizzo di una moquette realizzata con caratteristiche di riutilizzabilità, il cui impiego è anche stato ridotto del 40%.
mercoledì 07 aprile 2010 http://www.acquistiverdi.it

per chi ama camminare

Per chi ama camminare...un sito per tutti i gusti.
Bella anche la parte dei racconti di camminata e ottima la scelta dei link....
La Boscaglia    

La corsa della green economy

La corsa della green economy
Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo

di Antonio Cianciullo, Gianni Silvestrini
pagine: 208 - euro 14,00

Edizioni Ambiente
Collana I Tascabili >

Entro dieci anni il settore rinnovabili in Germania supererà il settore automobilistico. In Cina, leader mondiale del solare, mezzo miliardo di persone utilizza l’energia pulita prodotta da piccoli impianti. Negli Stati Uniti quasi la metà della potenza elettrica installata negli ultimi due anni viene dal vento. In Europa nel 2009 le rinnovabili hanno avuto crescite insperate.
È una svolta radicale: non più profitto contro benessere ma profitto dal benessere. Un nuovo modello di democrazia energetica in cui potere e vantaggi economici sono decentrati.
http://www.edizioniambiente.it/eda/catalogo/risorse/717/

Riciclare l'acciaio e l'alluminio aiuta le industrie e l'ambiente

Continuo che il futuro dell'ecologia sia il design.
Ecco un articolo che lo conferma.
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Quando si pensa all' acciaio scatta immediatamente l' associazione con le armi, ma negli ultimi 200 anni, da quando esiste l' imballaggio in acciaio, molte guerre sono state vinte con l' acciaio delle scatolette alimentari che permettevano ai soldati di sopravvivere più che con l' acciaio dei cannoni. In assenza di guerre, quello che conta è la capacità di produrre di più usando meno materiali e meno energia.


Le rinnovabili sono la via maestra per la produzione di nuova energia, ma nel breve periodo la fonte più interessante dal punto di vista economico resta il taglio degli sprechi. E gli sprechi sono tanti visto che per due secoli il sistema industriale si è tarato sull' illusione di poter trovare un' energia sostanzialmente infinita e a basso prezzo.
Ora l' ultimo erede di questa teoria fallimentare, il petrolio, si avvia al capolinea lasciando dietro di sé una scia di devastazione climatica e una forte instabilità dei prezzi.
A questo punto in molti settori produttivi è scattata la molla della riconversione green, anche perché risparmio energetico e risparmio economico tendono a coincidere.
La direttiva europea nel campo dell' imballaggio ha spinto in questa direzione e molte industrie del settore - sul modello della carta e del vetro, i primi a puntare sugli aspetti ambientali del recupero - stanno scommettendo sul miglioramento delle prestazioni ambientali.
L' ultimo studio è dell' Anfima, l' Associazione nazionale dei fabbricanti di imballaggi metallici che raggruppa la maggior parte delle 50 aziende del comparto (5 mila dipendenti, 1,8 miliardi di euro di fatturato) ed è collegata al Cna (Consorzio nazionale per il riciclo e il recupero degli imballaggi in acciaio) e al Cial (il consorzio per l' alluminio).
Quando si pensa all' acciaio scatta immediatamente l' associazione con le armi, ma negli ultimi 200 anni, da quando esiste l' imballaggio in acciaio, molte guerre sono state vinte con l' acciaio delle scatolette alimentari che permettevano ai soldati di sopravvivere più che con l' acciaio dei cannoni. In assenza di guerre, quello che conta è la capacità di produrre di più usando meno materiali e meno energia. «Da questo punto di vista abbiamo fatto molta strada», spiega Rosolino Redaelli, presidente di Anfima.
«L' acciaio ha scelto la sostenibilità puntando con forza sulla diminuzione delle quantità di materiale usato nelle singole confezioni e sulla diminuzione dei consumi energetici grazie a un sistematico recupero degli imballaggi che ci vede oggi nella parte alta della classifica europea. Tra l' altro abbiamo la fortuna di lavorare con un materiale che si può riciclare all' infinito e che, ad ogni ciclo virtuoso, garantisce un vantaggio per la singola industria e per la collettività: sarebbe sciocco non approfittarne». 

All' apparenza le scatolette che acquistiamo al supermercato sono sempre le stesse, sostanzialmente immutate da decenni anche perché l' acciaio, materiale piuttosto essenziale, si presta meno di altri al restyling estetico. Eppure le modifiche introdotte sono state consistenti: basta pensare che, nel caso del classico barattolo da mezzo chilo, in otto anni è stata realizzata una drastica cura dimagrante che ne ha dimezzato il peso. Un processo che ha portato significativi vantaggi ambientali perché per ogni tonnellata di acciaio riciclato si tagliano i consumi energetici del 70 per cento risparmiando 1.8 tonnellate di minerali di ferro, 572 litri di petrolio e 1,8 tonnellate di CO2: quella emessa da un' utilitaria che fa 15 mila chilometri o quella catturata in un anno di crescita da 98 alberi della foresta pluviale. 
Un beneficio che va moltiplicato per le oltre 370 mila tonnellate riciclate (il 77,5 per cento del recuperato, più dell' obiettivo europeo): una quantità che permetterebbe di coprire con una lamiera spessa come quella di una scatola di pelati una superficie pari a 4,5 volte l' estensione di una città come Roma evitando la C02 emessa in un anno da 260 mila auto di piccola cilindrata. Anche le cifre dell' alluminio sono consistenti: il 64 per cento viene recuperato e il 58 per cento (38.500 tonnellate) riciclato. In questo modo si evitano quasi 400 mila tonnellate di CO2 e si risparmia l' energia contenuta in 140 mila tonnellate di petrolio. L' alluminio poi ha un secondo legame con l' energia. Almeco, un colosso da 100 milioni di euro con stabilimenti in Italia, Francia e Germania, ha prodotto un particolare alluminio con capacità riflettenti che raggiungono il 98 per cento: può essere utilizzato nel solare termodinamico. (a. c.)
Repubblica — 22 marzo 2010   pagina 42   sezione: AFFARI FINANZA

auto elettriche: esordio pubblico a Brescia

L'esordio pubblico delle auto elettriche 60 in prova a Milano e Brescia da giugno.
Auto che si ricaricano alla centralina elettrica e tariffa flat sul modello della telefonia. Partirà a giugno e durerà un anno il progetto E-Moving promosso da Renault-Nissan e dalla multiutility A2A. L' iniziativa pilota si svolgerà a Milano e Brescia coinvolgendo 60 veicoli a zero emissioni, pronti per essere ricaricati nelle 270 centraline, di cui 150 in luoghi pubblici come strade e parcheggi e il resto nei parcheggi condominiali e aziendali, che verranno rese disponibili nei prossimi mesi.

Due i modelli a disposizione delle aziende e degli enti pubblici che parteciperanno alla sperimentazione: il Kangoo Express Z. E., furgonetta destinata ad un uso professionale, e la Fluence Z. E., berlina familiare per un utilizzo sia privato che professionale. 

L' obiettivo della casa automobilistica è di testare il funzionamento dei veicoli elettrici nel capoluogo lombardo per poi estendere l' iniziativa ad altri grandi centri italiani alle prese con il dramma dell' inquinamento. Del resto, lo stesso presidente di Renault Italia Jacques Bousquet, presentando l' iniziativa, ha spiegato: «Il nostro obiettivo è di promuovere una mobilità sostenibile per tutti, rendendo l' auto elettrica disponibile e accessibile alla più ampia clientela possibile. Non, quindi, un prodotto di nicchia, ma un prodotto destinato a una larga diffusione sul mercato». 
Al di là della rete di ricarica, infatti, la novità dovrà fare i conti con altri elementi decisivi: i processi e le soluzioni commerciali connessi alla vendita o al leasing dei veicoli elettrici, la reazione degli utenti di fronte a una soluzione che non ha precedenti nel nostro paese, la fornitura di energia elettrica per l' alimentazione dei veicoli e i sistemi di fatturazione ad essa collegata, la gestione delle batterie e la manutenzione dei veicoli elettrici. Due le modalità di rifornimento previste: una standard su una presa da 220 V 10A o 16A, che consentirà di ricaricare la batteria in un tempo compreso tra sei e otto ore; l' altra rapida con una presa da 400 V, da 32A a 63A per una ricarica in tempi brevi, tra i 20 e i 30 minuti, in funzione dell' amperaggio erogato. In linea con lo spirito ecologico dell' iniziativa, l' energia arriverà in buona parte da fonti rinnovabili. Prevista una tariffa flat per tutta la durata della sperimentazione, con la possibilità di effettuare il pieno di elettricità senza limiti e la previsione, nell' ipotesi di una percorrenza media annua di 15mila chilometri, di dimezzare la spesa rispetto al gasolio. 
La scarsa diffusione di centraline per la ricarica e la mancanza di incentivi pubblici al settore sono stati fin qui i principali freni alla diffusione delle automobili elettriche nella Penisola. 
A metà gennaio la Camera ha approvato una mozione che impegna il governo a cofinanziare fino al 50% lo sviluppo di reti di ricarica per i veicoli elettrici con l' obiettivo di realizzare un sistema di ricarica, a partire dalle aree urbane, applicabile estensivamente sia nell' ambito del trasporto privato, sia in quello pubblico. 
Resta da capire quanto sia percorribile questa strada, considerato che ogni colonnina di ricarica costa intorno ai 1.200-1.500 euro. Prezzi che, comunque, potranno scendere con i progressi della tecnologia e una diffusione di massa di questi strumenti. 
Per i prossimi mesi sono attesi passi in avanti anche tra gli altri progetti avviati in Italia. Come a Roma, dove il Comune ha siglato un protocollo con l' Enel per la realizzazione e l' installazione di 150 nuove colonnine di ricarica, 100 pubbliche e 50 private. Mentre a Pisa, gli uffici tecnici del Comune e l' Enel progettano di avviare una rete di 100 centraline entro settembre. (l.d.o.)
Repubblica — 22 marzo 2010 pagina 42 sezione: AFFARI FINANZA

martedì 6 aprile 2010

il bambino delle stelle

Una bella storiella ricevuta con gli auguri di Pasqua.


Una tempesta terribile si abbattè sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano
l'acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia
come colpi di maglio, o come vomeri d'acciaio. Aravano il fondo marino scaraventando
le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di
metri dal bordo del mare. Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata,
l'acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui
si contorcevano nell'agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante
che la spiaggia sembrava colorata di rosa. Il fenomeno richiamò molta gente da
tutte le parti della costa. Arrivarono anche troupe televisive per filmare lo
strano fenomeno. Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo. Tra
la gente, tenuto per mano dal papà, c'era anche un bambino che fissava con gli
occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare
e nessuno faceva niente. All'improvviso il bambino lasciò la mano del papà, si
tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le
piccole mani tre piccole stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell'acqua.
Poi tornò indietro e ripetè l'operazione. Dalla balaustra di cemento, un uomo
lo chiamò: "Ma che fai ragazzino?" "Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti
muoiono tutte sulla spiaggia" - rispose il bambino senza smettere di correre.
"Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle
tutte. Sono troppe!" - gridò l'uomo. "E questo succede su centinaia di altre
spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!" Il bambino sorrise, si chinò
a raccogliere un'altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: "Ho cambiato
le cose per questa qui". L'uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si
tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine
e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro
a buttare stelle marine nell'acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi
cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell'acqua.
"Per cambiare il mondo basterebbe che qualcuno, anche piccolo, avesse il coraggio
di incominciare.

giovedì 1 aprile 2010

Colpire la scuola pubblica: una scelta non casuale

Nell'unico Paese occidentale dove il Grande fratello continua a fare record d'ascolti, quello dove si legge meno, dove ci si laurea di meno, dove l'intelligenza scappa all'estero, si continuano a fare tagli sull'istruzione e la ricerca.

Decine di migliaia di maestre e professori precari lasciati a casa, facoltà universitarie cancellate dall'oggi al domani, miliardi sottratti alla formazione dei nostri ragazzi, ma non ai corrotti, ai ladri, agli evasori.
Pare che l'unico sistema per contenere la spesa pubblica in Italia siano i tagli alla scuola pubblica. Soltanto alla scuola pubblica, s'intende, perché su quelle private, cattoliche in particolare, continuano a piovere danari statali, fregandosene della Costituzione. Se si tratta di una «scelta obbligata dalla crisi», come sostiene il ministro Giulio Tremonti, rimane da capire perché è obbligata soltanto da noi. Francia, Germania e Gran Bretagna non stanno togliendo fondi all'istruzione, anzi, in qualche caso li aumentano. La ragione è piuttosto ovvia. L'istruzione, la formazione costituiscono l'unica risposta seria della vecchia Europa alla sfida delle potenze emergenti asiatiche.
Il sospetto, ma possiamo dire la certezza, è che nell'attacco sistematico alla scuola pubblica da parte del governo Berlusconi il vero movente sia ideologico. Per questa classe dirigente volgare e ignorante, nata e pasciuta nell'analfabetismo televisivo, la scuola è un territorio nemico da epurare e basta. Perfino il fascismo ha cercato di piegare ai propri interessi la scuola pubblica, senza distruggerla. Il nuovo progetto autoritario passa invece dalla distrazione dell'istruzione pubblica. È una battaglia anticulturale, assai prima che antipolitica.
La stessa nomina della povera Gelmini a ministro, con la sua pochezza culturale e l'esame da avvocato superato nel profondo Sud, era un'aperta provocazione da parte del premier, così come la nomina dell'ex calendarista Carfagna alle Pari opportunità e dell'icona sadomaso Brambilla al Turismo, 10 per cento del Pil nazionale.
Un modo per chiarire che il governo non aveva alcuna intenzione di affrontare il ritardo culturale del Paese, la sopravvivenza di una società patriarcale e il crollo d'immagine dell'Italia agli occhi degli stranieri. Che sono seri problemi per il futuro di tutti noi, ma anche altrettante fortune per il presente di Berlusconi. Si tratta di vedere fino a quando durerà questo presente perpetuo, senza progetti, senza speranze.                                        

Curzio Maltese, Venerdi di Repubblica, 26 marzio 2010

Cicogne

Tredicimila chilometri in volo per raggiungere la compagna malata. Per il quinto anno consecutivo Rodan, un maschio di cicogna, ha percorso il lungo cammino dal Sudafrica fino alla Croazia per incontrare la compagna Malena, una cicogna che a causa di una vecchia ferita ha smesso da anni di affrontare lunghe traversate. Così, come in una commovente commedia romantica, i due si danno appuntamento ogni anno nel villaggio di Brodski Varos, nella Croazia orientale. Ad attendere l'arrivo di Rodan questa volta c'erano anche i fotografi che hanno immortalato il momento dell'incontro. ''E' il quinto anno consecutivo che Rodan torna da Malena'', così Stjepan Vokic, il biologo che si occupa di Malena dal 1993, anno in cui l'animale fu ferito a un'ala da un gruppo di cacciatori. Da allora Malena non può più volare, handicap questo che non le ha impedito di conoscere Rodan e di accoppiarsi con lui. Tra due mesi nasceranno i loro piccoli e, in questa moderna famiglia ribaltata, ad insegnare loro a volare sarà il padre.
Da: www.repubblica.it