mercoledì 29 luglio 2009

Le nanotecnologie saranno la chiave per ridurre i consumi. Ecco come

Qualche settimana fa, l'Aps ha messo online un ponderoso documento rivolto all'Amministrazione Usa con un messaggio esplicito: i fisici americani non chiedono finanziamenti a super-potenti centrali nucleari del futuro, né sembrano avere nelle loro priorità politiche primarie stellari acceleratori di particelle. Piuttosto chiedono a Washington più ricerca e innovazione in edilizia e trasporti, aree (in apparenza) miserabilmente noiose.


La American physical society è, nel suo campo, una delle maggiori lobby mondiali. Ha 46mila membri, scienziati e non, e archivi online che risalgono al 1893. Una delle maggiori associazioni scientifiche del pianeta. Eppure, qualche settimana fa, l'Aps ha messo online un ponderoso documento rivolto all'Amministrazione Usa con un messaggio esplicito: i fisici americani non chiedono finanziamenti a super-potenti centrali nucleari del futuro, né sembrano avere nelle loro priorità politiche primarie stellari acceleratori di particelle. Piuttosto chiedono a Washington più ricerca e innovazione in edilizia e trasporti, aree (in apparenza) miserabilmente noiose.
Eppure la chiave è rigorosamente scientifica. Gli Usa sono gravati da una bolletta petrolifera di importazione, pari al 66% dei consumi interni (era il 33% ai tempi del primo shock petrolifero del 1975) che contribuisce pesantemente agli squilibri dell'economia statunitense. E bisogna trovare una strada, anche nel bel mezzo di una recessione, che auto-ripaghi gli investimenti e serva quantomeno ad alleviare, se non a risolvere, la costosa dipendenza energetica dall'estero.
La strada maestra, secondo i fisici americani, è l'efficienza energetica. E "Energy Future", il loro manifesto, ne rivisita un altro analogo, prodotto nel 1975, che ha dato ottimi risultati reali, in 35 anni, con una serie di previsioni e di raccomandazioni azzeccate, che hanno comunque consentito all'economia Usa di mitigare il proprio footprint energetico di quasi la metà sulle previsioni lineari.
Allora si trattava di motori a combustione più efficienti, di reti elettriche meno dispersive, di marmitte più sofisticate. Oggi, con le nanotecnologie, i giacimenti energetici (nascosti ma accessibili) le opportunità di risparmio stanno principalmente in due settori, secondo L'Aps: trasporti ed edilizia. Insieme fanno oltre il 60% del consumo energetico (inefficiente) del sistema Usa, e la cifra è analoga, per grandi linee, anche all'Europa e all'Italia.
Un rapporto, quindi, che merita unalettura (www.aps.org/energyefficiencyreport/) anche perché spazia su capi dove l'industria italiana è presente e, con il programma «Industria 2015» (www.industria2015.ipi.it) del ministero dello Sviluppo Economico si appresta a varare progetti analoghi, se non anticipati.
La chiave del report non sta tanto nei suoi capitoli "politici", in cui si indicano e si chiedono a Washington tutto sommato scontate misure di standard e di incentivazione alle iniziative di efficienza e di ricerca nei veicoli, nelle batterie (cruciali per gli ibridi e ancora mancanti), nell'edilizia, nell'illuminazione, negli elettrodomestici a basso consumo.
La chiave più interessante sta invece nelle note all'ultimo capitolo, sulla ricerca avanzata. Qui i fisici americani indicano (pragmaticamente) undici frontiere d'azione e di investimento critiche: celle a combustibile, batterie e Storage energetico, Led e illuminazione a silicio a stato solido, catalizzatori complessi, dispositivi termoelettrici, materiali superleggeri e compositi, finestre avanzate a nano rivestimenti, ventilazione domestica intelligente, isolamenti ultra-fini, pompe di calore avanzate, ricerche socioeconomiche sulle migliori pratiche di diffusione delle innovazioni di efficienza.
Salvo l'ultimo, la costante è univoca: le nanotecnologie oggi stanno già dando risultati di laboratorio sorprendenti. Batterie con catodi e anodi in nanocavi al silicio capaci di densità di energia di tre o quattro volte superiori alle precedenti (anche a ioni di litio), finestre con rivestimenti in grado di catturare il calore d'inverno e, a diversa inclinazione, di bloccarlo d'estate, pompe di calore con superfici di scambio nano-estese, capaci di moltiplicare non di un fattore 3 il freddo e caldo immagazzinato nella terra ma di tre volte tanto per ogni unità elettrica immessa. E catalizzatori ricalcati su quelli naturali, abbastanza sofisticati da trasformare la luce solare in forme energetiche chimiche spendibili.
Di qui la proposta di un sistema incentivante nazionale complesso, già oggi su innovazioni capaci di auto-ripagarsi in due anni (come la diffusione delle lampade aled e a basso consumo, e gli isolamenti termici per edifici, o gli elettrodomestici "Energy Star", si veda il grafico) ma domani, tramite anche un'Arpa-E (un'agenzia ricalcata su quella del Pentagono per la ricerca avanzata, ma oggi focalizzata sull'energia e dotata, forse, di un suo fondo di venture capital) capace di immettere nel sistema Usa (in via di re-industrializzazione) dosi crescenti di innovazioni a guadagno condiviso.
GIUSEPPE CARAVITA giuseppe.caravita@ilsole240re.com
nova, 16 ottobre 2008

Altro che le schifose centrali nucleari berlusconiane, buone solo per tangenti mafiose...

martedì 28 luglio 2009

E basta coi ristoranti vegetariani, indiani e tibetani!

Dopo ulteriore esperienza all'estero in un ristorante indiano, che seguiva quella a Lisbona in uno "tibetano", mia moglie (vegetariana) ed io (che non lo sono) abbiamo deciso: basta farci fregare da ristoranti che con la scusa del vegetariano ti propinano a carissimo prezzo quattro verdurine fritte o lesse!
Paradossalmente, per un vegetariano la cosa migliore è andare in un buon ristorante per carnivori e sfidare lo chef a trovare qualcosa di alternativo. Di solito, se è un buon ristorante, si fanno in quattro per soddisfare il cliente, si mangia bene e si spende ragionevole. Da parte mia, suggeriso anche di proseguire la lettura , con un articolo apparso su "la repubblica delle donne".

Non mangiano la carne, ma con sporadici ripensamenti
Per avvicinarsi a uno stile di vita più sano ed ecocompatibile

Fanno pasti flessibili, tanto che li chiamano flexitarians. Ma anche vegetariani part-time. Mettono nel piatto più verdura e meno carne. Per i motivi più svariati: salutisti, economici, ambientalisti. 0 anche solo perché le proposte della cucina veg sono sempre più interessanti. Negli Stati Uniti sono un movimento in crescita. Hanno il loro blog, www.almostvegetarian. blogspot.com, il loro libro, The flexitarìan diet (McGraw-Hill), scritto dalla dietista Dawn Jackson Blatner. E si parla di loro. Lo ha fatto Newsweek, che ha dedicato il pezzo "Part-time vegetarians" alla storia della Blatner. Da 15 anni Dawn mangia molta frutta e verdura, frutta secca, semi e derivati della soia e del frumento. Ma ogni tanto cede alle tentazioni dell'arrosto della nonna. Da brava flexitarian esperta, cioè, secondo la sua stessa definizione, colei che mangia carne o pesce non più di due volte la settimana. I seguaci di questo stile alimentare sostengono che ridurre le proteine animali invece di eliminarle del tutto possa essere un buon compromesso. «Offre i vantaggi della dieta vegetariana senza obbligarti a seguirne le regole ferree», afferma Blatner, «seguire una dieta basata sui vegetali è la cosa migliore che si possa fare per la propria salute e includere carne di tanto in tanto è un modo per mangiare più verdure». Sembra illogico, ma in realtà i flexitarians si avvicinano di più dei carnivori quotidiani alla preziosa biodiversità di cereali e legumi delle diete vegetariane dee. «È un piano dietetico che guida con gradualità a consumare più vegetali», sottolinea Blatner. È d'accordo Luciana Baroni, medico, presidente della Società scientifica di Nutrizione vegetariana (www.scienza-vegetariana.it) e autrice per le edizioni Sonda di Vegpyramid, saggio dedicato alla piramide alimentare naturale (vedi box). «Quando ci si sposta verso una dieta a base di vegetali non è bene cominciare togliendo i cibi animali, ma aggiungendo quelli vegetali. Si scopre cosi una varietà di alimenti prima sconosciuti e si è portati a ridurre il consumo di cibi animali. Tanto da diventare vegetariani quasi senza accorgersene». E continua: «Se poi qualcuno si ferma a metà strada è meglio di niente. Ha già fatto tanto: per sé, per l'ambiente e per gli animali». Quel per sé è ciò che più interessa alla Blatner: «Sappiamo che i vegetariani vivono più a lungo, ma è dannatamente difficile esserlo al cento per cento! I fiexitarians pesano il 15% in meno, hanno un tasso inferiore di cancro, malattie cardiovascolari e diabete e vivono 3,6 anni più a lungo dei carnivori». In pratica, si introducono i benefici della dieta vegetariana nello stile di vita medio avvicinando sempre più persone a uno stile alimentare più salutare. Ma se c'è chi si accosta ai vegetali a piccoli passi, riservandosi di fare marcia indietro, c'è anche chi, vegetariano o vegan completamente, ha bisogno di indicazioni per seguire al meglio la propria scelta.
Nascono così le prime "Linee guida italiane dietetiche per una alimentazione vegetariana" a firma di Luciana Baroni. Si tratta di una novità tutta italiana: negli Stati Uniti, infatti, le raccomandazioni ufficiali per alimentarsi bene (www.mypyramid.gov) prevedono una sezione dedicata alla dieta a base di vegetali.
Da noi, invece, l'Istituto nazionale della Nutrizione non si è mai preoccupato di offrire indicazioni ai sei milioni di vegetariani italiani. Spiega Lucio Lucchin, direttore del Servizio di dietetica e nutrizione clinica dell'ospedale di Bolzano che ha appena dato alle stampe Alla ricerca del giusto peso (Reverdito): «Bisogna distinguere i comportamenti alimentari dettati da convinzioni filosofiche dalle indicazioni scientifiche. In Italia non ci sono gruppi strutturati di vegetariani come gli Avventisti statunitensi e il nostro sistema sanitario non può occuparsi delle sfumature. Oggi le priorità sono ridurre l'incidenza di sovrappeso che ha toccato il 34% negli adulti e il 36% nei bambini, ma anche le patologie cardiovascolari e tumorali». Eppure è ormai dimostrata l'efficacia della dieta verde proprio per contrastare queste malattie.
Prendiamo il modello su rischi e benefici delle diete vegetariana e onnivora pubblicato sull 'American Journal of Clinical Nutrition dall'epidemiologo Joan Sabaté dell'università di Loma Linda (California). Emerge che i vegetariani rischiano meno sia le carenze di sostanze protettive sia l'eccesso di quelle dannose. E due tra le più prestigiose associazioni di nutrizionisti al mondo, ì'American Dietetic Association e i Dietitians of Canada, hanno fatto proprio questo concetto ribaltando il pregiudizio che considera carenti le diete vegetariane.
La vera carenza, oggi, è quella di sostanze protettive. Ed è tipica di chi segue un'alimentazione onnivora. Naturalmente se ci si limita a togliere carne e pesce, la dieta rimane monotona e a rischio. Essere vegetariani non vuol dire mangiare solo formaggio e.insalata.
Non si può negare: richiede tempo. Il tempo di scegliere, di lavare le verdure, di cucinarle, di mettere in ammollo i legumi la sera prima. È proprio questo il punto: «Il pasto vegetariano è complesso ed elaborato», afferma Lucchin, «con i ritmi di vita odierni non si può proporre a tutti. La maggior parte della popolazione consuma pochi vegetali e sempre gli stessi. Non più di una decina su settemila commestibili». Lucchin, che peraltro conferma la validità della dieta vegetariana, si chiede però quale sia la priorità: «Stravolgere le abitudini degli italiani proponendo un modello che non verrà mai seguito oppure orientare la nutrizione più verso il vegetale che la carne, ma non in termini assoluti?».
Torniamo così ai flexitarians. Per Baroni si può essere flessibili per motivi ambientalisti. O di salute. Se si
passa ai vegetali per convinzioni animaliste è più difficile ammettere trasgressioni. Non solo: «Se ci si abitua a mangiare sano, vegetali poco cotti e cereali integrali, è difficile riuscire a digerire altro e si sviluppa una repulsione nei confronti della carne. Come se l'organismo, una volta disintossicato, là rifiutasse riacquistando la naturale capacità di autoregolarsì che hanno gli animali selvatici».
Ma per Lucchin: «La capacità di riconoscere ciò che è dannoso nell'uomo è reale, ma riguarda i veleni che hanno un gusto amaro. Il rifiuto nei confronti della carne è solo questione di disassuefazione. La stessa di chi è intollerante al lattosio e non gradisce l'odore del formaggio. Se un vegetarlano dovesse tornare a mangiare carne la digerirebbe bene». Nessun problema, dunque, per i novelli flexitarians. Con una nota di Marina Berati, attivista vegan: «Vegetariano e vegan sono termini che non si possono coniugare con il concetto di panrt- time. Un vegetariano non mangia animali di qualsiasi specie (mammiferi, pesci, volatili), un vegan non mangia neanche i loro prodotti (latte, latticini, uova). Ben venga che ci siano persone che consumano 20 chili di carne l'anno invece di 100. Per contrastare gli impatti devastanti degli allevamenti intensivi sull'ambiente e per prevenire le malattie degenerative causate dalle proteine animali.
Ma per favore, non chiamiamoli "vegetariani part-time". Non c'è bisogno di definizioni modaiole. Di ridurre il consumo di cibi animali, questo sì». A ognuno, poi, il suo perché.
di Daniela Condorelli
Repubblica delle donne, 15 novembre 2008

lunedì 13 luglio 2009

berlusconi e l'etica pubblica

Ecco la sintesi finale da un articolo di D'Avanzo su la Repubblica di domenica 12 luglio 2009: Il comportamento privato del capo del governo è in fragorosa contraddizione con i valori (Dio, famiglia) che proclama in pubblico e con le leggi che propone al Parlamento (severe punizioni per chi favorisce la prostituzione e per chi fa sesso con le prostitute).


(.....) Emerge, dunque, dall'inchiesta di Bari un tableau ben definito. Intorno al presidente del Consiglio, c'è un'organizzazione molto discreta, anche se spericolata, che fornisce prostitute al "sultano" per le sue serate con "torta" finale; una rete di servizio che si muove secondo moduli, programmi e desideri sempre uguali. Tarantini è soltanto uno dei server che il presidente del consiglio attiva quando la sexual addiction l'afferra. Dall'inchiesta emerge che lo stesso "lavoro" di Gianpi è assolto per lo meno da altre due personaggi (un professionista di Bari, una signora di Roma).

Questo accade. Quel che significa (lo ha già scritto qui Stefano Rodotà) interpella l'etica pubblica. "Un uomo politico non può mentire. Deve accettare la pubblicità di ogni sua attività quando questa serve per valutare la coerenza tra i valori proclamati e comportamenti tenuti" (Repubblica, 10 luglio). Da questo punto di vista, la scena è chiara. Berlusconi ha una volta di più, in questa storia, ingannato il Paese: non ignora che le "ragazze" che affollano il "lettone di Putin" siano prostitute e prostitute chiede, per le sue "torte", ai prosseneti che siedono al suo tavolo (non esita a "smanacciarle" subito sotto gli occhi della sua scorta).

Il comportamento privato del capo del governo è in fragorosa contraddizione con i valori (Dio, famiglia) che proclama in pubblico e con le leggi che propone al Parlamento (severe punizioni per chi favorisce la prostituzione e per chi fa sesso con le prostitute). E' questo lo stato delle cose che Berlusconi dovrebbe finalmente affrontare in pubblico, quali che siano gli esiti per la sua reputazione e per il suo destino politico.

(12 luglio 2009)

domenica 12 luglio 2009

Quanto vale un ultra ricco. E un povero

Colui che desidera procurare il bene altrui ha già assicurato il proprio (Confucio)

Otto milioni e mezzo di persone. Secondo le analisi dell'Ocse saranno i nuovi disoccupati entro la fine del prossimo anno per effetto della crisi.
In base alle stime della ex banca d'affari Merrill Lynch, effettuate insieme a Cap Gemini, 8,6 milioni sono gli Ultra Ricchi a livello mondiale: una popolazione che da sola possiede 32,8 trilioni di dollari (32.800 miliardi).


Anche loro hanno registrato una contrazione del patrimonio (-19,5%) ma secondo Merrill Lynch non c'è da preoccuparsi: grazie al boom nei Paesi asiatici nel 2013 il "tesoro" globale degli Ultra Ricchi arriverà a 48,5 trilioni, incurante degli effetti devastanti della crisi mondiale.
Meno di dieci milioni di persone avranno a disposizione una ricchezza pari al prodotto interno lordo del sistema mondo (circa 50 trilioni di dollari). Attenzione sempre più spasmodica a salute e bellezza, forte incremento degli investimenti in arte (+5%), drastica contrazione delle donazioni filantropiche, soprattutto negli Stati Uniti, sono gli effetti principali della crisi sulle scelte di investimento degli Ultra Ricchi.
All'orizzonte non si intravedono né investimenti responsabili né una particolare propensione verso profili eticamente orientati.
Nel frattempo, in meno di cinque anni, i poveri a livello globale potrebbero crescere di 250 milioni soprattutto se continuerà l'assalto speculativo verso le materie prime alimentari.
La corsa dei prezzi originata nel luglio del 2008 dall'assalto dei contratti future ha lasciato macerie tra i più poveri: un chilo di riso in Malawi costava prima del boom 37 centesimi di dollari. È balzato a 1,3 dollari durante il picco e oggi è attestato a 1,10 dollari, quasi tre volte rispetto a quindici mesi fa.
Senza interventi per arginare la speculazione il rischio è quello di un disastro per alcuni miliardi di esseri umani, esclusi quegli 8,6 milioni di Ultra Ricchi che tanta gola fanno alle società finanziarie.
di Andrea Di Stefano
da: la repubblica delle donne, sabato 11 luglio 2009

La povera Brescia capitale dei creazionisti....

Segnalato su "la repubblica delle donne" di sabato 11 luglio 2009.......



Brescia ha ospitato tre monologhi dell'ingegner Stefano Bertolini.
Responsabile della qualità del prodotto in un'azienda di elettronica, digiuno di biologia, geologia, paleontologia, cosmologia e altro, sa che gli scienziati da secoli complottano per farci prendere primati per parenti e lanterne per galassie.
Grazie a "un percorso personale" ha scoperto che 6mila anni fa sono comparse le specie, tutte uguali a quelle odierne; le rocce, tutte fatte con argilla acidificata e bagnata; e l'umanità, generata dai 56 figli di Adamo ed Eva.
Pur essendo fratelli e sorelle, hanno avuto una discendenza priva di difetti genetici, perché erano dotati di Dna fresco di creazione.
Dopo lo stermìnio del Diluvio, Noè e congiunti hanno ripopolato la Terra, conservando così la purezza etnica finché, giunti alla città di Babele, i pronipoti non inventarono le lingue e le razze.
Lo show dell'ingegnere, dopo il tour nelle chiese mormone, ha debuttato nel Museo di scienze naturali dì Brescia. Con il Patrocinio dell'Assessore alla cultura (!)

un commento da www.pikaia.eu

C’era una volta il Museo di Scienze Naturali di Brescia...
...e poi arrivò il creazionismo patrocinato dal comune di Brescia...

C’era una volta il Museo di Scienze Naturali di Brescia che era solito allietare i suoi soci ed amici con serie di conferenze ed attività, tutte naturalistiche. C’erano una volta le scettiche conferenze del CICAP, le bucoliche “serate micologiche del lunedì” e ancora, le intriganti osservazioni al microscopio di mineralogia e gemmologia, i divertenti esperimenti di “fisica divertente”...

Ma l’idillio favolistico non è destinato a durare: un fatto di estrema gravità sconvolgerà la scientifica vita dei soci ed amici delle Scienze Naturali, più precisamente dal 19 al 21 giugno. Ecco infatti che sbuca il mostro tentacolare del creazionismo, le cui appendici sono ben più appiccicose del Mostro Volante degli Spaghetti. Titolo: “Trilogia delle origini in occasione del 200esimo anniversario della nascita di Darwin e 150esimo anniversario della pubblicazione de L’origine delle specie”, contributo fornito dall’AISO, Associazione Italiana Studi sulle Origini.

L’altisonante nome dell’AISO dovrebbe far capire, a chi non conoscesse l’operato di questa associazione, che ci si trova di fronte a *rullo di tamburi* creazionisti italiani. L’originalissimo contributo è ad opera di Stefano Bertolini ingegnere esperto di semiconduttori e bibbia (?), connubio specialistico che l’ha condotto direttamente al creazionismo. Il mandante di questo orrore non è però una strega cattiva ma il Comune di Brescia.

Le tre conferenze, di cui diamo subito una sinossi sono: “Gli animali si evolvono?”, sinossi: no. Gli animali sono stati creati da Dio come scritto nella Bibbia (il dubbio rimane sulle centinaia di migliaia di altre specie non animali…); “La Terra e la sua età”, sinossi: la geologia è schiava del complotto darwiniano, la Terra infatti ha circa 6000 anni come scritto nella Bibbia; “Provenienza delle razze”, sinossi: le razze sono un’invenzione della cospirazione darwinista mentre l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, come scritto nella Bibbia. Punto. L’Ing. Bertolini ci assicura che il ciclo di conferenze risponderà alle domande che l’uomo si è sempre posto: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, il ciclo di conferenze ci salverà dal nichilismo di un mondo senza Dio – anche perché il sito dell’AISO recita “Noi non riusciamo ad immaginare uno scienziato privo di questa fede; fede in un Creatore, che “per mezzo delle sue opere” e della sua “rivelazione”, si rivela all'uomo ed è presente nel mondo.” Come dire, non si stenta a crederlo.

La collaudata serie di tre conferenze verrà ripresentata ad nauseam in varie altre sedi, certamente più appropriate del Museo di Storia Naturale di Brescia, ovvero varie chiese cristiane evangeliche, avventiste del settimo giorno etc. etc.

Bell’anniversario darwiniano! Sarebbe stato meglio evitare – ma siccome così non sembra essere, si potrebbe ancora rimediare con un assenteismo totale delle tre serate da parte dei soci e amici del Museo. Infatti ciò che il mostro tentacolare del creazionismo più teme è il silenzio. Questo sì sarebbe un vero “…e vissero felici e contenti” celebrando Darwin e la teoria dell’evoluzione.

(...)
i bresciani non vogliono crederci. Ieri erano una ventina, bimbi compresi e nessun creazionista, al museo di scienze naturali dov’è andata in scena la prima serata dello show Ing. Stefano Bertolini contro Teoria dell’evoluzione.

Ma lei come ha fatto a ridursi così? chiede alla fine della recita un fisico mosso a pietà dal giovane ingegnere dall’accento inglese.

L’ingegnere s’offende. Il maleducato osa muovergli un ”attacco personale” mentre lui parla dei fatti scientifici cui è approdato seguendo un “percorso personale”. Detto percorso l’ha tenuto lontano dalla logica, dal concetto di informazione, dal secondo principio della termodinamica, dall’astrofisica e come d’obbligo per i creazionisti, dalla biologia. Però l’ha portato alla laurea in ingegneria elettronica e alla fede nelle verità della Genesi, da prendersi alla lettera.
Giorgio Tarditi Spagnoli , da www.pikaia.eu

venerdì 10 luglio 2009

La vita delle cose

L'ultimo libro del filosofo Remo Bodei "La vita delle cose" pone sotto i nostri occhi l'esistenza che gli oggetti vivono indipendentemente da noi e che a loro volta vivono riflessi nel nostro sguardo


Poco tempo fa l'editore Laterza ha pubblicato un libro di Remo Bodei intitolato "La vita delle cose".
L'autore è ben conosciuto nel mondo della filosofia e della cultura in genere; ha insegnato a lungo alla Normale di Pisa e attualmente insegna alla University of California di Los Angeles. Secondo me quest'ultimo suo libro (ne ha scritti molti e tutti molto stimolanti) ha qualcosa di eccezionale e di sorprendente anche se parte da un'osservazione che tutti in un certo momento della vita abbiamo fatto e da una situazione che tutti abbiamo vissuto nelle nostre fantasìe infantili: gli oggetti vivono.
Vivono dentro di noi ma hanno anche una loro vita indipendentemente da noi.
Esiste un rapporto ambivalente tra noi e gli oggetti, rivelatore di fondamentali meccanismi della conoscenza e della psiche.
Penso insomma che il libro di Bodei meriterebbe d'avere moltissimi lettori perché tocca e scioglie una serie di nodi che spesso impigliano la nostra mente e i nostri pensieri.
Le cose delle quali parla Bodei sono uno sterminato universo, vanno dai giocattoli dei bambini alla collana di perle regalo d'un matrimonio, al letto in cui abitualmente dormiamo, alle posate che usiamo per consumare i nostri pasti, al bancone del bar che frequentiamo. Ma anche alla tomba che contiene le spoglie dei genitori o d'un amico che ci ha lasciato. E perfino la memoria dei nostri morti, il nostro passato, le persone che lo animarono.
Insomma, se vogliamo stringere la questione all'essenziale, le cose sono tutto ciò che è oggettivo, al di fuori di noi. E poiché noi, io, siamo l'unico soggetto che dal suo punto di vista guarda il resto del mondo, ecco che le cose delle quali parla Bodei sono per l'appunto il resto del mondo. Io e il resto del mondo, il quale vive nel mio sguardo e attraverso il mio sguardo entra dentro di me, suscita in me amore oppure odio e repulsione, mi invade, in certi casi mi possiede e mi domina mentre io a mia volta possiedo e domino lui, oggetto del mio sguardo e della mia attenzione.
Un soggettivismo esasperato? Non sarebbe in fondo una cosa nuova né, come prima ho scritto, sorprendente, se ne discute da quando gli uomini hanno cominciato a pensare e a riflettere su se stessi, cioè almeno da 2.500 anni. Ma è sorprendente il ragionamento attraverso il quale l'autore di questo libro pone sotto i nostri occhi l'esistenza che le cose vivono indipendentemente da noi e quali sentimenti suscita in questa apparentemente ovvia constatazione: malinconia, gelosia, sentimenti di perdita, feticismo, distacco, disperazione, bisogno di novità.
Insomma vita, vita nostra, vita del soggetto che noi siamo e che alimenta la propria esistenza con un rapporto costante con gli oggetti (animati e inanimati) che ci circondano e che a loro volta vivono riflessi nel nostro sguardo speculare.
Trascrivo qui un brano di Fernando Pessoa citato da Bodei, che ci dà tutta la misura e l'intensità del libro di cui stiamo parlando: «Sento il tempo come un enorme dolore. Abbandono sempre ogni cosa con esagerata commozione. Le cose buone della vita mi fanno male in senso metafisico quando le abbandono e penso che non le vedrò né le avrò mai più, perlomeno in quel preciso esatto momento.
I morti. I morti che mi hanno amato nella mia infanzia. Quando li rievoco la mia anima si raffredda e io mi sento esiliato dai cuori, solo nella notte di me stesso, piangendo come un mendicante in silenzio sbarrato di tutte le porte».
II linguaggio poetico di Pessoa, unito al sentimento della perdita e all'incubo della morte, raggiunge qui un'intensità drammatica che tocca il lettore nel profondo. Il miracolo psicologico che ne sgorga e che Bodei racconta con altrettanta efficacia consiste nel capovolgimento degli elementi che Pessoa esprime della perdita, della solitudine, del «silenzio sbarrato di tutte le porte». Nasce una creazione poetica che commuove i cuori e riapre le porte sbarrate del silenzio.
Lasciamo dunque concludere l'autore con parole sue: «Le cose rappresentano nodi di relazioni con la vita degli altri, anelli di continuità tra le generazioni, ponti che collegano storie individuali e collettive, raccordi tra civiltà e natura. Ci spingono a dare ascolto alla realtà, a farla entrare in noi così da ossigenare un'interiorità altrimenti asfittica. Mostrano inoltre il soggetto nel suo rovescio, nel suo lato più nascosto, quello del mondo che affluisce a lui in quel viaggio a sorpresa che è la vita».

Eugenio Scalfari, l'espresso, 9 luglio 2009

giovedì 9 luglio 2009

Filosofia della traduzione

Secondo una determinata lettura del fenomeno del tradurre, la stessa esistenza umana è un tradurre, il nostro stare nel mondo e nella storia è un tradurre. Noi non solo traduciamo dal greco al siriaco e dal siriaco allo spagnolo, non solo traduciamo da una lingua all' altra, ma traduciamo anche all' interno della nostra stessa lingua.......



Questo testo fu pronunciato da Franco Volpi nel corso di un seminario della casa editrice Laterza in onore di Mario Carpitella, cui hanno partecipato Marco Cassini, Renata Colorni, Tullio De Mauro, Daniela Di Sora, Carmine Donzelli, Gianni Ferrara degli Uberti, Sandra e Sandro Ferri.
Da oggi è disponibile in rete all' indirizzo web www.laterza.it.

Ho un' esperienza di traduzione molto limitata, settorialmente limitata: ho tradotto soprattutto Heidegger. E si sa, tutti dicono che Heidegger sia intraducibile. Io credo che dichiarare un qualcosa come intraducibile significa far torto alla propria lingua. In realtà, si tratta di costruire un ponte ermeneutico...
Certo, se uno parte dall'idea che tradurre voglia dire tradurre de verbo ad verbum, beh allora certamente ci si scontra con parole che sono intraducibili; polis è un termine che non tradurrò mai in un linguaggio moderno, perché è una parola che indica un contenuto semantico che è morto, non c' è più; io quindi solo a fatica riesco a costruire nella mia mente un equivalente di quello che per un greco polis indicava con immediata evidenza.
Ciò non vuol dire che abbia ragione Heidegger, il quale sostiene che le traduzioni fanno perdere la semantica originaria, per esempio, del greco, e la impoveriscono.
Se io dovessi ritradurre in greco, per esempio, la parola italiana "religione" - "religione", tra l' altro, è una parola fondante della cultura europea - non troverei in greco antico una parola che corrisponda alla religione come la intendiamo noi; trovo vocaboli come theologia,o altri termini che si avvicinano al nostro significato, ma non trovo ciò che "religione" (con una etimologia peraltro assai controversa, ce ne sono almeno quattro che circolano) vuole dire.
Secondo una determinata lettura del fenomeno del tradurre, la stessa esistenza umana è un tradurre, il nostro stare nel mondo e nella storia è un tradurre. Noi non solo traduciamo dal greco al siriaco e dal siriaco allo spagnolo, non solo traduciamo da una lingua all' altra, ma traduciamo anche all' interno della nostra stessa lingua, dall' italiano di Dante all' italiano attuale, dal francese di Montaigne al francese di oggi: chi gira in questi mesi per le librerie francesi, scopre che uno dei libri più venduti è una traduzione in francese moderno dei saggi di Montaigne.
E non solo traduciamo tra fasi della nostra lingua lontane fra loro, ma traduciamo anche dentro il nostro stesso mondo, traduciamo a volte anche tra marito e moglie: "tesoro", a seconda dell' intonazione con cui è detto, ha una stratificazione, una polisemia di valenze per cui può essere espressione di affetto, di arrabbiatura o di insopportabilità. Il che vuol dire che anche rispetto alle persone che ci circondano noi siamo esseri condizionati dal nostro stare nel mondo e nella storia, in un linguaggio, e la nostra relazione è continuamente intrisa e sollecitata da un insieme di operazioni: di sintesi, di comprensione, di mediazione che dobbiamo compiere, tra quello cheè il nostro orizzonte, la nostra prospettiva di esseri finiti, limitati, e quella degli altri.
Da questo punto di vista credo che nel traduttore professionale venga a emergere (anche se probabilmente la maggior parte dei traduttori non se ne rendono nemmeno conto) quella che è la tipica condizione umana, quella dell' uomo mediatore, dell' uomo articolatore, dell' uomo che continuamente deve gettare ponti ermeneutici tra quello che è il suo mondo e il mondo dell' altro, chiunque sia quest' altro - il suo prossimo, o qualcuno di una lingua lontana o di un secolo lontano.
Ci sono stati nella storia momenti in cui all' attività di traduzione è stata attribuita un' importanza determinante.
Pensiamo per esempio alla polemica che è stata suscitata, con echi anche sui quotidiani, dal libro di Gouguenheim ( Aristotele contro Averroè, Rizzoli). Gouguenheim sostiene che l' Occidente non deve nulla al mondo arabo, perché già i monaci dell' abbazia di Mont Saint-Michel - in particolare un veneto, mi permetto di ricordarlo, Giovanni Veneto - avevano tradotto direttamente dal greco in latino e commentato praticamente tutto Aristotele. E questo, secondo le sue ricerche, circa 50 anni prima che iniziasse la mediazione araba, che era poi una mediazione di mediazioni - attraverso il siriaco -, come nel caso di Averroè, su cui Borges ha scritto il bellissimo La busca de Averroes. Averroè rappresenta davvero una situazione disperata, simile a quella descritta da Mario Carpitella, perché era un medico, non conosceva il greco, e non conosceva nemmeno il siriaco, perciò leggeva una traduzione della traduzione: eppure è passato alla storia come colui che "il gran commento feo": commentò un autore che di fatto era per lui di terza mano.
Ma ciò portò a quella fioritura che fu la Scuola di Toledo, dove operarono personaggi come Domenico Gundisalvi, Giovanni Ispano, Michele Scoto, poi finito in Sicilia.
Insomma, ci fu un' attenzione così forte per la traduzione da portarla davvero ai vertici del lavoro culturale dell' epoca.
Si pensi a san Tommaso, che aveva il suo traduttore, Guglielmo di Moerbeke, che gli tradusse, per esempio, la Politica. Osservando come traduceva Guglielmo di Moerbeke si rimane impressionati: non c' è parola, non c' è espressione, non c'è nuance del testo greco che sfugga alla sua presa di traduttore. Era davvero un lavoro di altissima arte, di altissima tecnica, perché evidentemente questa performance culturale era ritenuta qualcosa di essenziale, come di fattoè stato, visto che grazie a questa vasta opera di traduzione si ebbe poi in Europa la fioritura culturale che avrebbe raggiunto il suo apice in quello che Huizinga chiamerà appunto "l' autunno del Medioevo".
Rimane, tuttavia, in piedi il problema della intraducibilità.
Questo riporta la nostra attenzione sui limiti del tradurre: da un lato il tradurre è qualcosa che pervade tutto il nostro stare nel mondo, nella storia, in un linguaggio; dall' altro lato è qualcosa che segna anche i limiti dentro i quali ci muoviamo, proprio in quanto esseri finiti.
Noi possiamo anche concepire concettualmente una entità ideale, supponiamo il valore ideale (faccio un esempio banale) 2 per 2 che fa 4, e lo posso esprimere in italiano, lo posso esprimere in tedesco, in francese, in inglese, lo posso calcolare con il calcolatore meccanico, con il calcolatore digitale, nei modi più diversi: attraverso le scorie empiriche di un linguaggio - poniamo l' italiano - posso raggiungere quel valore ideale, un valore matematico ideale a cui io do un rivestimento che è invece caduco.
È dunque interessante notare come il ponte ermeneutico che io costruisco nel tradurre è qualcosa che caratterizza la mia situazione di essere parlante in quanto tale: benché io arrivi a concepire una idealità, non posso tuttavia mai raggiungere questa idealità nella sua purezza, ma la conosco sempre e soltanto attraverso le scorie di un linguaggio particolare.
Per fare un esempio e forse rendere la cosa più evidente: se io cerco, poniamo, le sensazioni dell' originale del Requiem di Mozart, non potrò raggiungerle mai, perché io non ascolto l' originale ma ascolto sempre von Karajan o qualche altro direttore d' orchestra che esegue e interpreta quell' originale, che non mi è mai dato allo stato puro.
La traduzione, dunque, è in qualche modo l' inevitabile declinazione nella quale dobbiamo calarci quando vogliamo comprendere un contenuto, una idealità, un qualsiasi altro elemento che fa parte del nostro mondo. È un qualcosa di inevitabile che ci portiamo addosso, anche quando non siamo traduttori, così come la chiocciola va in giro sempre accompagnata dal suo guscio. - FRANCO VOLPI

Repubblica — 07 luglio 2009 pagina 40 sezione: CULTURA

Balene: proteggere i cetacei è più redditizio che ucciderli.

La notizia non farà piacere ai cacciatori di balene ma, stando a un rapporto della Commissione internazionale per la caccia ai cetacei (International Whaling Commission - Iwc), il vero business non sta più nelle carni di questi animali ma nel fascino che possono esercitare sugli amanti della natura

BALENE
Whale watching, un affare ogni anno 2 miliardi di fatturato
Secondo un rapporto della International Whaling Commission, il business si è capovolto. E l'avvistamento rende più della caccia. Il settore è in crescita anche in Italia, ogni giorno battelli da 200 persone di SARA FICOCELLI

PROTEGGERE i cetacei è più redditizio che ucciderli. La notizia non farà piacere ai cacciatori di balene ma, stando a un rapporto della Commissione internazionale per la caccia ai cetacei (International Whaling Commission - Iwc), il vero business non sta più nelle carni di questi animali ma nel fascino che possono esercitare sugli amanti della natura. Il documento spiega infatti che il "whale watching", ovvero il turismo dedicato all'avvistamento dei cetacei, frutta circa due miliardi di dollari l'anno in tutto il mondo, cifra superiore al fatturato medio della loro caccia.

Nel XIX secolo le balene erano vere e proprie miniere d'oro: il motivo principale per cui venivano uccise era il grasso, trasformato in olio per lampade, e ogni altra parte era preziosa, dai fanoni, che diventavano corsetti, all'olio del capodoglio, usato per i profumi. Oggi il fine principale della caccia è la carne, amata soprattutto in Paesi con lunghe tradizioni baleniere come il Giappone, l'Islanda, e in parte degli Stati Uniti e del Canada.

Un delegato islandese, presente alla riunione annuale dell'Iwc tenutasi in Portogallo, ha tenuto a precisare che le due industrie sono compatibili e che la caccia non ha ripercussioni su questa forma di turismo. Ma secondo il direttore dell'Ifaw (International Fund for Animal Welfare) Patrick Ramage, che ha commissionato lo studio, "è chiaro che il whale watching è più sostenibile e permette di ottenere benefici economici maggiori rispetto alla caccia".

Le balene insomma valgono più da vive che da morte e nel rapporto si legge che negli ultimi dieci anni questo tipo di turismo è duplicato, soprattutto in Asia. Nel 2008, in 119 paesi, 13 milioni di persone si sono dedicate a questa attività, italiani compresi.

"La notizia non mi stupisce - spiega Carlo Baracchini di Whale Watching Liguria - malgrado la crisi il nostro è un settore in crescita. Lavoriamo da 14 anni e ogni anno registriamo un'affluenza di turisti superiore al precedente". In Italia è il consorzio Liguria Via Mare ad organizzare tour in battello alla scoperta dei cetacei: un giro costa 32 euro a persona e ogni giorno da Imperia parte una nave con a bordo in media 150 persone, fino a un massimo di 200 posti. Da Genova i viaggi si organizzano settimanalmente, ma nei mesi di luglio e agosto partono anche due battelli al giorno. La certezza di avvistare gli animali non c'è, "anzi, se ci rendiamo conto che la nave li disturba rientriamo subito al porto", precisa Baracchini, ma i tour durano dalle quattro alle nove ore e l'arco di tempo è sufficiente a vedere almeno qualche delfino.

Il mare italiano ospita otto specie di cetacei: il delfino comune, la stenella striata, il tursiope, la balenotte comune (il più grande, di circa 22 metri), il capodoglio (tra i 16 e i 18 metri), lo zifio, il globicefalo e il grampo. Il periodo migliore per avvistarli è la primavera inoltrata, da maggio a giugno, ma i tour vengono organizzati tutto l'anno. Per questi animali la speranza di sopravvivere all'uomo, malgrado i sudati sforzi degli ambientalisti, sta forse nelle leggi di mercato.

(Repubblica, 8 luglio 2009)

mercoledì 8 luglio 2009

La dieta di Umberto Veronesi

Quando Umberto Veronesi parla di dieta alimentare è affascinante perché sembra di ascoltare contemporaneamente due persone diverse.
Da un lato c'è l'uomo di buon senso, che trae insegnamenti dalla propria esperienza carica di valori e di episodi esemplari.

Per esempio, quando dice di preferire una dieta vegetariana non solo per ragioni salutiste, ma anche per motivi etici, ricorda il suo amore per gli animali per la loro intelligenza ed espressività, coltivato durante la sua giovinezza vissuta in una cascina alle porte di Milano.
O quando ci dice che il suo impegno in sala operatoria lo ha spinto spesso as altare i pasti senza danno alcuno. Anzi, a totale giovamento della propria salute,perché cibarsi troppo spesso, e in gran quantità - ormai lo sanno tutti - non fa per niente bene.
Veronesi, del tutto controcorrente rispetto ai consigli più diffusi, non pranza quasi mai a metà giornata né fa laute prime colazioni. Per lo più, cena soltanto. E, spesso, digiuna del tutto. Dice che è meglio riempirsi lo stomaco una volta ogni tanto piuttosto che mangiare poco e spesso perché il nostro stomaco - che è dotato di grande elasticità per consentirci evolutivamente di adattarci alle diverse occasioni di disponibilità di cibo - altrimenti finisce per atrofizzarsi. Ma qui sta già cominciando a parlarci il secondo Veronesi, che è poi quello più conosciuto, più pubblico, vale dire lo scienziato, che studia l'argomento da un punto di vista medico, e che, dopo aver collezionato per noi le migliori informazioni, ce le restituisce in pochi semplici principi e suggerimenti.
Se il 50 per cento dei tumori ha a che fare con l'alimentazione e il 4 per cento con le cause ambientali, sarà bene concentrarsi in particolar modo sulla prima. Tenendo comunque presente che anche la qualità dell'alimentazione ha naturalmente a che fare con l'ambiente.
Alla fine il Veronesi medico e scienziato riassume il tutto in questi sette consigli:
1) alimentarsi con moderazione; l'abitudine ad alzarsi da tavola con ancora un po' d'appetito è molto salutare;
2) limitare al massimo il consumo dei grassi di origine animale;
3) dare la preferenza ai cibi di origine vegetale;
4) consumare regolarmente cibi ricchi di fibra (come cereali integrali, legumi, ortaggi e frutta);
5) moderare il consumo di bevande alcoliche;
6) consumare pesce almeno 2-3 volte settimanalmente;
7) limitare il ricorso alla frittura, alle cotture prolungate, ed evitare le parti di cibo annerite o bruciacchiate.
Com'è bello vedere come i due Veronesi, dunque scienza e buonsenso, si ricongiungono in una filosofia di vita così naturale.

di Armando Massarenti. domenica del sole 24 ore 28 giugno 2009

il chinotto

È davvero bizzarro nell'epopea delle bibite energetiche del fast food, ovverosia della fretta, assistere al ritorno di una bevanda che ha contrassegnato l'era del bar sport, ovverosia dei lunghi pomeriggi al flipper, al calciobalilla, davanti al juke box.

A me mi piace
Il chinotto belle epoque
di Davide Paolini da il sole 24 ore della domenica del 5 luglio 2009
C'era una volta - oppure è meglio dire «a volte tornano» -: stiamo pensando al chinotto, frutto di origine cinese, la Cytrus Myrtifolia, simile alla pianta del mirto (piccole dimensioni, foglie verdi intenso) forse è ritenuto solo un nome coniato per una bevanda.
È davvero bizzarro nell'epopea delle bibite energetiche del fast food, ovverosia della fretta, assistere al ritorno di una bevanda che ha contrassegnato l'era del bar sport, ovverosia dei lunghi pomeriggi al flipper, al calciobalilla, davanti al juke box.
Eppure la civiltà del chinotto, bevanda di modernariato, ha ripreso il suo cammino, magari sotto abiti (leggipackaging) diversi, così come si riveste un divano d'antan con tappezzeria contemporanea: con la biglia come fosse una vecchia gazzosa (Abbondio), con look chic (Lurisia), con bottiglia più larga, ma con la solita grinta (se bevi Neri ne ribevi). Mentre Paoletti continua con la linea tradizionale.
Civiltà, appunto, perché il passato di questo frutto è nobile. È stato il preferito dalla Belle epoque, il protagonista dei salotti liberty, spesso anche ritratto in quadri d'inizio Novecento. L'arrivo della Grande Guerra ne ridimensionò la fama. I mercati d'Europa e d'oltre oceano avevano amato le "mignonnettes", rinomate in Francia e Austria dove il chinotto costituiva il ripieno dei boeri
al cioccolato, o diveniva marmellata. Tra tutti i prodotti, quello più ricercato, divenuto quasi lo status symbol dell'epoca, era però la bevanda gassata e analcolica, servita come aperitivo o rinfrescante.
Tutto iniziò nel 1877, quando un'industria di frutti canditi, Silvestre-Allemand, decise di trasferirsi nella zona di Savona, caratterizzata dall'aroma intenso degli alberi sempreverdi di chinotto, importati dalla Cina da un marinaio locale con il quale quest'azienda elaborava la maggior parte delle canditure. La ricetta segreta con cui addolcire l'agrume, assai acido e aspro, rendendolo commestibile, fu casualmente rivelata dagli operai del laboratorio a una drogheria, il cui proprietario, facendo tesoro della tecnica con cui erano trasformati sia i chinotti grandi, o balloni, che quelli più piccoli, diede vita a una dinastia imprenditoriale, tuttora attiva: Augusto Vincenzo Besio. Dopo varie vicende: crisi economica del dopoguerra e soprattutto congelamento dei frutti per le basse temperature, arrivò la crisi del chinotto. Servirono circa una decina d'anni perché ritornasse a ricoprire un ruolo centrale nel mondo dei dolciumi e dei drink italiani, divenendo uno dei simboli della ripresa alimentare degli anni Trenta. Una storia fatta di stop andgo quasi a segnare la storia del costume. Sirie qua non sempre!

martedì 7 luglio 2009

comitati ambientalisti a Brescia

I Comitati impegnati a Brescia per la difesa dell'ambiente e della salute,
per la vita delle generazioni future

Elenco tratto dal sito:
www.ambientebrescia.it

Comitato Ambiente Città di Brescia
Luigi Tosetti tel. 030.347105 luigi.tosetti@libero.it

Cittadini per il riciclaggio
Marino Ruzzenenti ruzzo@libero.it

CODISA (Comitato Difesa Salute & Ambiente di S. Polo e dintorni)
Maurizio Frassi maurizio.frassi@cgil.brescia.it

Comitato contro la centrale turbogas di Brescia e per il risparmio energetico
Massimo Cerani massimocerani@everyday.com

Comitato popolare per la Salute, Rinascita e Salvaguardia del Centro Storico
Maurizio Bresciani emmebrix@libero.it

Coordinamento Comitati Ambientalisti Brescia-Est
Raffaele Forgione Via Luigia Fiorini, 5 25080 Mazzano tel. 030 2123904 bupfor@tin.it

Comitato Salute e Ambiente di Ospitaletto
Daniele Pigoli salute.ambiente@mail.com
http://saluteambiente.blogspot.com

Comitato della Bassa contro la centrale di Offlaga
Sergio Favalli Favalli41@virgilio.it

Comitato Salute Ambiente Calcinato
www.SaluteAmbienteCalcinato.eu

Comitato Collina dei castagni di Castenedolo
collinadeicastagni@libero.it www.collinadeicastagni.org

Comitato promotore per il Parco delle colline moreniche del Garda
presidente Emilio Crosato g.tranz@aliceposta.it
c/o Cai via Tobruch 11, 25015 Desenzano


Chiariambiente
Giuseppe Gramera gramera@inwind.it

Comitato Difesa Salute e Ambiente di Calvisano
Virginio Prandini virginioitala@alice.it

Comitato Ambiente e Salute di Quinzano d'Oglio
stopwte.altervista.org

Montironeambiente
Eugenio Fasser montironeambiente@virgilio.it (montironeambiente.pdf)

AttivamenteSelleroNovelle
Mirco Bressanelli attivamenteselleronovelle.blogspot.com

ViviCastelmella
Paola Zanolli vivicastelmella@tiscali.it


Coordinamento Comitati Ambientalisti Lombardia
Imma Lascialfari ilsteros@libero.it
www.comitatiambientelombardia.it


Comitato "L'acqua di Prevalle"
www.acquadiprevalle.blogspot.com


Forumambientalista sezione di Brescia (Forumambientalista.pdf).

lunedì 6 luglio 2009

Alfa Acciai: aria pesante sui fumi





Alfa Acciai, aria pesante sui fumi.
Clima incandescente ieri sera alla riunione del Comitato difesa salute e ambiente.
Raccolte 130 firme per chiedere una centralina di monitoraggio della qualità dell'aria

Una cosa è certa: la vicenda Alfa Acciai è seguita più da vicino di quanto possa sembrare. Soprattutto dai cittadini. Tanto che, ieri sera, voci e sguardi dei residenti del quartiere superavano di gran lunga i posti a sedere preparati dal Codisa (il Comitato difesa salute ambiente) in vista dell'assemblea pubblica organizzata nella sala civica di via Sabbioneta, a pochi metri dall'azienda al centro dei riflettori.
Ad introdurre, i dati e le nozioni tecniche. A chiudere, un grande malcontento: «Sono dieci anni che aspettiamo risposte concrete, ora non abbiamo più voglia di capire la politica». Questo il pensiero più ricorrente tra i presenti, lo stessa che, in una sola serata, ha unito, fatto alzare la voce, decretato il silenzio assoluto.
Oltre 100 firme in Consiglio
Centotrenta firme raccolte. L'obiettivo è presto detto: una petizione indirizzata al sindaco, Adriano Paroli, e alla presidente del Consiglio comunale, Simona Bordonali, per esplicitare nero su bianco le due richieste che Codisa e residenti intendono porre al centro dell'attenzione di Giunta e consiglieri. Innanzitutto la collocazione, per sei mesi, di una centralina di monitoraggio della qualità dell'aria e, in particolare, dei parametri relativi a polveri, PmlO, Pcb, Pcdd-f, Ipa (come dati giornalieri), monossido di carbonio, anidride solforosa, ossidi di azoto (come dati cosiddetti «in continuo»).
«Si tratta di campagne che il Comune, a discrezione, può richiedere all'Arpa o a enti privati» spiegano Maurizio Frassi, Sandro Cosi e Tiziana Frassi.
Poi, la presenza dei rilevatori di dati meteorologici (sensori di temperatura, di pressione atmosferica, di radiazione solare, di pioggia caduta).
«Questa proposta - specificano gli organizzatori - è basata sul concetto che le fonti di diossina, una dopo l'altra, vanno scoperte e chiuse».
Sotto accusa anche il lungo iter che ha caratterizzato la vicenda: «Un anno per le analisi è troppo, specie quando nella stessa Autorizzazione integrata ambientale (rilasciata dalla Regione all'Alfa Acciai nel 2007, ndr) è esplicitato che a fronte di un superamento del limite massimo di diossina l'azienda deve ridurre la produzione o chiudere per un periodo».
La rabbia e la sfiducia
Inatteso l'intervento del consigliere Roberto Toffoli che, senza mezzi termini, rispedisce le accuse al mittente. «Si sta facendo terrorismo ambientale anziché parlare della salute dei cittadini - incalza -: la Provincia sta già monitorando tutta la situazione e sta indagando; di certo l'Alfa Acciai verrà messa sotto mora qualora ce ne fossero gli estremi. In più - conclude - i camini dovranno essere o alzati o muniti di nuovi filtri». Tutti propositi che non convincono, però, i presenti, infastiditi da «chiacchiere sentite per anni, anni in cui nulla si è risolto».
E ancora: «Noi qui viviamo e siamo stufi di subire le decisioni di chi poi, puntualmente, se ne lava le mani». Ma, soprattutto, i volti seri, decisi ad urlare e ribadire che «ormai non ci si fida più di coloro che dovevano agire e non l'hanno fatto».
Ora, a fronte della discrepanza tra i dati raccolti dall'Arpa sulla quantità di diossina sprigionata dal camino E1bis e quelli che derivano dai periodici controlli condotti da Alfa Acciai, Provincia, Comune, Arpa, Asl e Alfa Acciai stessa hanno scelto la strada della controverifica.
Intanto, tra una sfiducia palesata a più riprese e una soluzione che si attende con ansia, c'è anche chi, dal fondo della sala, conclude lanciando un nota-bene. «La zona industriale è stata creata alle Fornaci, isolata. Non a San Polo. E, soprattutto, non a caso».
Nuri Fatolahzadeh - Giornale di Brescia, 1 luglio 2009

Appunti dalla serata

Si tenga conto che la diossina è frutto di un processo di combustione, ilPCB è invece un prodotto.
Comunque, sono sostanze che si accumulano nei grassi.
IL problema non è quanta diossina esce al metro cubo, ma quanti metri cubi di fumi escono dalla fabbrica.
Bisogna quindi misurare grammi x tempo.

Se facciamo un confronto con l’inceneritore di Brescia:

Alfa Acciai circa 2.000.000 mc /ora
Inceneritore 550.000 mc/ora

Il limite delle diossine per le acciaierie è di 0,5 nanogrammi /mc
Per gli inceneritori è di 0,1 nanogrammi /mc

Se facciamo una moltiplica, l’Alfa Acciai potrebbe scaricare in atmosfera 8,5 grammi di diossine /anno.
Si tenga conto, sempre come limite di paragone, che l’inceneritore di Brescia emette diossine 50 volte sotto la soglia di legge. Quindi, in teoria,per quanto riguarda le diossine, una acciaieria potrebbe essere 250 volte più inquinante dell’inceneritore.
Bisogna fare in modo che, con modifiche alle normative, le emissioni delle acciaierie siano al massimo come quelle degli inceneritori!

--
Il Comitato Difesa Salute Ambiente di S.Polo (Co.Di.S.A.) in assemblea il 30 giugno alle 20.30
venerdì 26 giugno, 2009


Comitato Difesa Salute Ambiente di S.Polo e dintorni

La vicenda della diossina in quantità ben superiori ai limiti di legge, rilevata dal camino E1bis dell’Alfa Acciai, comunque vada a finire è solo l’ultimo tassello aggiunto ad una situazione ambientale a dir poco disastrosa dei quartieri Est di Brescia e che da anni denunciamo con forza. Un territorio da decenni soggetto ad una devastazione continua (le cave) e spesso scelto come destinatario di attività imprenditoriali che nessuno vorrebbe vicino a sé (impianti per il trattamento di rifiuti tossici, acciaierie, discariche di ogni qualità). Come se non bastasse, abbiamo anche la tangenziale Sud, l’autostrada A4, il campo davanti all’Alfa Acciai inquinato da PCB, un’area radioattiva ed una discarica di rifiuti tossici che minaccia di inquinare la falda acquifera sottostante.

Certamente l’Alfa Acciai rappresenta uno dei maggiori elementi da tenere sotto controllo proprio per la tipologia ed i volumi di produzione. Ben vengano quindi i controlli dell’ARPA a garanzia della salute delle persone e dell’ambiente, tuttavia, è evidente che la legislazione vigente presenta delle lacune che non danno la dovuta sicurezza. L’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) a cui è soggetta l’Alfa impone delle verifiche periodiche fatte in autocontrollo, ossia il controllore ed il controllato sono lo stesso soggetto. Pur non volendo dubitare a priori della correttezza dei controlli fatti dall’Alfa su se stessa, sarebbe come se invece di portare la nostra auto a revisione presso un’officina autorizzata, ce la facessimo noi stessi…

A nostro parere sarebbe opportuno che le ditte depositassero una somma concordata presso l’ARPA e quest’ultima si incaricasse in modo imparziale di effettuare le previste verifiche. Due parole vanno spese anche per gli esponenti politici che ci hanno amministrato in passato e nel presente. Sicuramente un piccolo esame di coscienza se lo devono fare se ci troviamo in una situazione ambientale e di salute pubblica da emergenza, visto che le scelte politiche influenzano pesantemente la vita della comunità.

Non ci sarebbe stato bisogno di un inceneritore da 800.000 T./anno se si fosse adottata la raccolta differenziata porta a porta e non ci sarebbero state nemmeno tutte queste discariche. Non sarebbero servite tutte queste cave se si fossero attuate scelte politiche meno accondiscendenti agli interessi dei costruttori, ansiosi di stendere cemento e asfalto su ogni rettangolo verde. Non ci sarebbe quest’aria malata se si fosse puntato ad un uso alternativo all’automobile invece di realizzare nuove strade che tra vent’anni saranno nuovamente piene di scatole metalliche in lento movimento, se avessimo dedicato più attenzione al consumo delle risorse naturali e ad evitare sprechi (quante cose buttiamo e che potrebbero essere riutilizzate).

Magari saremmo stati un po’meno ricchi di oggi ma sicuramente più sani e sereni. Tutte queste cose una classe politica lungimirante dovrebbe saperle. Purtroppo, l’attuale amministrazione comunale, finora non ha dimostrato alcun interesse per questa periferia, i suoi cittadini, la tutela dell’ambiente, la difesa della salute pubblica e della qualità della vita, in ultimo il Sindaco a parole ha già archiviato l‘idea del Parco delle Cave con la proposta di un mega-stadio per atleti milionari.

Al contrario tanta attenzione ai consigli di amministrazione di A2A, ai commercianti del centro storico, alle fabbriche di cassonetti (10.000.000 di attenzioni), agli edifici in disuso (8.700.000 attenzioni) ed agli interessi dei soliti (sempre quelli) cavatori/costruttori/imprenditori interessati al loro esclusivo tornaconto personale (mega palazzetto dello sport, nuove edificazioni, stadio, tang. Est, polo logistico Italgros, discarica Gaburri, ampliamento cava Gaburri), disinteressandosi completamente delle migliaia di cittadini che da anni si aspettano la realizzazione del PARCO DELLE CAVE, una cintura verde a beneficio di tutta la città, a compensazione di tutte le brutture esistenti.

Dopo le discariche, le cave, il campo al PCB, la radioattività, l’autostrada, la tangenziale, la discarica di amianto, l’Ecoservizi, i rifiuti tossici, il progetto Gaburri/Italgros, l’aria, l’acqua ed il suolo inquinati ecco:

LA DIOSSINA DALL’ALFA

Il Co.Di.S.A.
“Comitato Difesa Salute Ambiente”
Di S.Polo e dintorni


domenica 5 luglio 2009

eliminare l'abusivismo?

Se si volesse eliminare la piaga dell'abusivismo, basterebbe confrontare (anche in modo informatico) la banca dati delle varie utenze con l'archivio del catasto.

nota mia: il problema è come fare nei paesini del sud, dove tutti si conoscono e nessuno ha voglia di mettersi contro le mafie locai? (greg)

A PROPOSITO di case abusive. A Castelfranco Veneto dove abito, il Comune non rilascia l'abitabilità se l'immobile non è iscritto al catasto. Quando si chiede l'allacciamento a gas, luce, acqua etc, le varie società erogatrici pretendono i certificati sia di abitabilità sia di iscrizione al catasto. In mancanza di uno dei due documenti, niente servizi.
Se si volesse eliminare la piaga dell'abusivismo, basterebbe confrontare (anche in modo informatico) la banca dati delle varie utenze con l'archivio del catasto. E questo scempio dell'abusivismo sarebbe già risolto.

lettera ad Augias di Roberto Foresi, Castefranco Veneto, Repubblica 30 giugno2009

mercoledì 1 luglio 2009

Meno tumori tra i vegetariani

Lunga e sistematica ricerca in Gran Bretagna conferma le stime: chi evita la carne ha il 12% in meno di possibilità di ammalarsi, il 45% nel caso delle leucemie

ENRICO FRANCESCHINI repubblica web 1 luglio 2009

"Meno tumori
tra i vegetariani"

LONDRA - E' un diffuso luogo comune: mangiare più frutta e verdura fa bene alla salute. Ora una vasta ricerca rivela che non solo ciò è vero, ma chi fa una dieta vegetariana ha meno probabilità di ammalarsi di cancro rispetto a chi fa una dieta a base di carne. Non è la prima volta che un'affermazione di questo genere proviene dalla comunità scientifica internazionale: la novità, tuttavia, è che non c'era mai stato uno studio così ampio e prolungato nel tempo sulla questione. I risultati sono impressionanti: i vegetariani hanno il 45 per cento di probabilità in meno di ammalarsi di cancro del sangue e un 12 per cento in meno di ammalarsi di qualsiasi tipo di cancro, rispetto a coloro che fanno una dieta carnivora.

Pubblicato sul British Journal of Cancer e ripreso oggi con grande rilievo dalla stampa nazionale britannica, lo studio ha seguito lo stato di salute di 61 mila persone nel corso di 12 anni. "Ricerche precedenti avevano indicato che la carne può aumentare il rischio di cancro all'intestino, cosicché i nostri risultati sono apparsi plausibili da questo punto di vista", dice al quotidiano Guardian di Londra la dottoressa Naomi Allen, ricercatrice del Cancer Research della Oxford University e co-autrice del rapporto. "Ma non sappiamo perché il cancro del sangue ha un'incidenza più bassa nei vegetariani". La differenza, un 45 per cento di probabilità di ammalarsi in meno, è enorme, e riguarda sia la leucemia che altri tipi di cancro del sangue. Non solo, ma chi si nutre di verdura, frutta e pesce, evitando la carne, ha anche il 12 per cento di rischio in meno di ammalarsi di qualsiasi altro tipo di tumore, afferma la ricerca.

"Sono dati significativi", osserva la dottoressa Allen, "anche se vanno presi con un po' di cautela poiché si tratta del primo ampio studio di questo genere in materia. Abbiamo bisogno di farne altri e di saperne di più. Per esempio dobbiamo scoprire quale aspetto di una dieta a base di verdura, frutta e pesce protegge dal cancro. E dobbiamo stabilire quanto influisce positivamente una dieta vegetariana, così come quanto influisce negativamente una a base di carne". Lo studio fa parte di un progetto internazionale a lungo termine chiamato "European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition", che andrà avanti, ad Oxford e in altri centri di ricerca sul cancro.

Altri studi hanno comunque già dimostrato che mangiare carne, o perlomeno mangiarne troppa, può essere nocivo. Non solo per la salute degli umani, tanto per cominciare, ma pure per quella del pianeta: l'anno scorso un rapporto della Commissione dell'Onu sul Cambiamento Climatico ha esortato a rinunciare alla carne almeno una volta alla settimana poiché la produzione di carne, ovvero gli allevamenti di bovini, produce da sola un quinto delle emissioni di gas nocivi. Un rapporto della World Cancer Research Fund, dua nni or sono, ha raccomandato di non mangiare più di 300 grammi di carne alla settimana a causa del rapporto tra una dieta altamente carnivora e il cancro all'intestino. E nel 2005 uno studio finanziato dal Medical Research Council britannico e dalla International Agency for Research on Cancer, ha riscontrato che mangiare due porzioni di carne al giorno, l'equivalente di un panino con la pancetta e di una bistecca, aumenta del 35 per cento il rischio di cancro all'intestino.