sabato 28 febbraio 2009

idee low cost

Idee «low cost», la giornata di Gabriella

di Alessia Grossi

A dispetto di «qualche burlone ( si fa per dire) che continua a dire “spendete! spendete!”» come scrive Gabriella, una nostra lettrice, c’è più che mai bisogno di «razionalizzare le spese per spendere e non indebitarsi».
Perché – dice Gabriella - «se il salario manca ( e manca eccome ), per spendere bisogna avere gli “euroni”». Al contrario per condurre una vita sostenibile e risparmiare facendo di necessità virtù basta farsi venire qualche «idea per abbassare la spesa».

La nostra lettrice suggerisce la giornata «low cost» tipo, in cui non mancano consigli anche per le grandi occasioni o per situazioni meno quotidiane.
Si inizia dagli abiti, da quelli per i bambini a quelli degli adulti. «Riciclate il vestiario dei ragazzi che crescono scambiando con amiche o comprandolo a metà prezzo» scrive Gabriella. Ma l’idea è valida anche per i grandi, che possono «comprate anche all'usato» trovando «capi ottimi». Con un’accortezza: «Comprare quelli che si possono lavare facilmente in casa». In questo modo al risparmio sui vestiti unirete quello per la lavanderia.
Elettrodomestici.
«Stirate solo le cose indispensabili (camicie , ecc, ecc. ). Molti altri capi – suggerisce la lettrice – come le lenzuola, se ben stese e le magliette intime non necessitano di essere stirate».
Si può ridurre anche «l'uso spasmodico di lucidatrice o aspirapolvere. A volte basta lavare con acqua calda e soda. Pulite con straccetti di microfibra le superfici lavabili o i vetri» per risparmiare in detersivi». Parsimonia anche nell’uso della lavatrice. «Usate la lavatrice a 60 gradi anche per il bianco. Il più delle volte i 90 sono inutili. Stesso vale per il cellulare, spesso «molte chiacchiere sono inutili».
Spesa.
Gabriella suggerisce di comprare «le offerte di frutta e verdura di stagione», scelta non solo più sana ma anche meno costosa. Abituando anche «i bambini a merende a base di frutta di stagione con un po’ di pane, arance tagliate a fette con un po’ di zucchero» ci risparmieremo anche le cure mediche per i bambini con «problemi di colesterolo».
Per la carne il consiglio di Gabriella è quello di tornare dal vecchio e fidato macellaio. E per il pesce al «nostro pesce azzurro» o alle «sarde e alici che ha ottime qualità ma il prezzo è contenuto».
Economia domestica.
Per ridurre la bolletta del gas non rinunciando alla buona cucina anche il «ragù e i sughi si possono preparare in grosse quantità e poi, suddividere e surgelare». Certo poi il ragù va riscaldato ma il risparmio c’è comunque. Anche il pane, quello secco, può essere riutilizzato. «Per zuppe di cipolla o altro» suggerisce Gabriella.
Acqua
Si economizza sull’acqua «evitando il bagno», sostituendolo con la doccia, quella di «una volta» consiglia la lettrice – bagnandosi, chiudendo l'acqua, e riaprendola solo dopo che vi sarete insaponati». Anche quella «del lavaggio delle verdure» si può riutilizzare per le piante».
Se non avete la lavastoviglie «per pulire i piatti basta un po’ di detersivo su una spugna» e per «il risciacquo acqua appena tiepida».

Gabriella invita anche a chiedersi «sempre se dell’auto potreste fare a meno». E poi ci sono i consigli per i regali utili rinunciando a quelli costosi.
In controtendenza anche i costi dei matrimoni «si possono ridimensionare» sposandosi «in primavera e organizzando con gli invitati una bella riunione all'aperto, al mare , in un parco».
L’arredamento anche, secondo Gabriella, si può prendere fallato o di seconda mano.
Di tutto questo, avverte la lettrice «in futuro non si potrà fare a meno. Intanto seguendo alcuni di questi consigli, avrete risparmiato luce, gas, acqua, telefono, bollette salate, energia».
Cosa che non guasta, poi, dice «avrete imparato a liberarvi di costumi e usanze che spesso per tante famiglie significano e hanno significato indebitamenti».

Gabriella conclude citando l'Antonio Gramsci de «La città futura»: «Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla su volontà, lascia fare».

27 febbraio 2009 l'unità

venerdì 27 febbraio 2009

acqua

ACQUA
1. L'acqua deve rimanere pubblica
2. Definire una quantità pro-capite giornaliera minima gratuita e far pagare il surplus a costi crescenti in relazione alla crescita dei consumi
3. Nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni: obbligo del doppio circuito, acqua potabile per gli usi alimentari e non potabile per gli altri usi, obbligo di usare l’acqua piovana per gli sciacquoni
4. Obbligo del recupero delle acque piovane in vasche di accumulo
5. Incentivazione, dovunque sia possibile, degli impianti di fitodepurazione
6. Ristrutturazione della rete idrica per ridurne le perdite, con gare d’appalto che consentano di trasformare i risparmi sui costi di gestione in quote d’ammortamento degli investimenti (sul modello delle esco)
7. Rilevazione semestrale inquinamento corsi d'acqua nel territorio comunale con eventuale denuncia alle autorità competenti
8. Obbligatorietà di adozione dei depuratori (in assenza di rete fognaria) nelle abitazioni civili e nelle aziende con possibile contributo economico comunale
9. Promozione uso acqua potabile comunale
10. Promozione detersivi a basso livello di inquinamento
Con la collaborazione di Maurizio Pallante
da www.beppegrillo.it

mercoledì 25 febbraio 2009

non abbiamo bisogno....

Non abbiamo bisogno di nucleare e rigassificatori semplicemente perchè il 40% dei nostri consumi energetici sono sprechi; non abbiamo bisogno di inceneritori perchè il 40% dei nostri rifiuti sono imballaggi che possono essere eliminati o riutilizzati e la raccolta differenziata è quasi inesistente in tutto il centro sud Italia; non abbiamo bisogno di nuovi quartieri, neanche ecologici, perchè le nostre città stanno già scoppiando.
Solo su una cosa siamo d’accordo: serve un ambientalismo del fare. Serve fare impianti di piccola taglia che producono energia da fonti rinnovabili: in Gran Bretagna hanno calcolato che con un sistema distribuito di produzione energetica si può fare a meno di 5 centrali nucleari. Servono semafori e illuminazione pubblica a LED che risparmiano il 60% di energia. Serve coibentare le case esistenti senza costruirne di nuove, per consumare e pagare 10 volte di meno per il riscaldamento e il raffrescamento. Serve introdurre il vuoto a rendere sugli imballaggi e il compostaggio obbligatorio per gli scarti organici. Serve portare la raccolta differenziata al 70% non solo in Veneto e in Lombardia, ma in tutta Italia. Servono centinaia di impianti di compostaggio, di piattaforme per il riciclaggio e di impianti per trattare i rifiuti residui a freddo ottenendo sabbie sintetiche per l’edilizia, come si fa a Treviso.
Ci sono centinaia di cose concrete da fare subito, ma nessuna di quelle sognate dal Ministro nel suo “paese delle meraviglie”.

il rilancio del nucleare: dossier

In un colpo solo Berlusconi è riuscito a riesumare due eccellenti cadaveri: il nucleare e il ponte sullo stretto di Messina. Due "opere" dal rischio ambientale elevatissimo ma soprattutto due ottime occasioni per mafia & company di garantirsi tangenti (oops...lo chiamiamo "lavoro"...?) per decenni!
Per quanto riguarda il nucleare rimando al dossier che avevo preparato alcuni anni fa sempre attuale:
http://www.verdementa.org/archivio/nucleare/nucleare.htm

venerdì 20 febbraio 2009

maurizio pallante: l'ambiente è tutto

da www.beppegrillo.it, postato il 20 febbraio 2009

L'ambiente è tutto. Ogni aspetto della nostra vita è riconducibile all'ambiente: salute, trasporti, edilizia, agricoltura, rifiuti. La qualità della nostra vita è ambiente. Ci vogliono convincere che la vita è merce, che vale per il numero di anni che viviamo, come merce che si valuta al peso. La qualità non è un valore in sè. Siamo l'unico essere vivente che non vive a rifiuti zero. Vogliamo consumare tutto, mangiarci la Terra stessa, come diceva Terzani. Sappiamo che non è possibile, Sappiamo che l'ambiente non è di nostra proprietà, non è un prodotto, un derivato, un'obbligazione. L'ambiente siamo noi ed è l'unica vera eredità che lasciamo ai nostri figli. Non è materia per politici di professione, per banchieri, per società per azioni. L'ambiente non è denaro contante. I comuni non possono prostituire il territorio, è un reato, un delitto, forse il più infame.
L'incontro nazionale delle Liste dei Comuni a Cinque Stelle si terrà a Firenze, al Saschall Teatro, domenica 8 marzo 2009.
Le Cinque Stelle corrispondono a cinque aree specifiche: Acqua, Energia, Sviluppo, Ambiente e Trasporti. Oggi pubblico un post sull'AMBIENTE. Inviate le vostre considerazioni nei commenti.

AMBIENTE: Uso del territorio, edilizia, urbanistica
"Nell’ottica della decrescita la politica energetica va indirizzata prioritariamente verso la riduzione dei consumi, che per più del 50 per cento sono costituiti da echi e aumentare l’efficienza è il pre-requisito per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, perché la diminuzione della domanda di energia:
- accresce il loro contributo percentuale alla soddisfazione del fabbisogno
- libera grandi quantità di denaro che può essere reinvestito nel loro acquisto.
Se il paradigma della crescita non viene messo in discussione, la politica energetica viene impostata sulla ricerca illusoria di fonti rinnovabili illimitate e pulite che siano in grado di sostituire la carenza crescente di fonti fossili, eliminando al contempo l’impatto ambientale che generano. Il contesto culturale di riferimento di questa impostazione è l’ossimoro dello sviluppo sostenibile. In questo contesto la riduzione dei consumi ha un ruolo accessorio e si limita per lo più a richiami moralistici sulla necessità del risparmio energetico ottenibile con comportamenti improntati alla sobrietà.

1. Blocco delle aree di espansione edilizia nei piani regolatori delle aree urbane. Incentivazione delle ristrutturazioni qualitative ed energetiche del patrimonio edilizio esistente. Concessioni di licenze edilizie soltanto per demolizioni e ricostruzioni di edifici civili o per cambi di destinazioni d’uso di aree industriali dimesse, previa destinazione di una parte di esse a verde pubblico
2. Formulazione di allegati energetici-ambientali ai regolamenti edilizi vincolanti la concessione delle licenze edilizie al raggiungimento degli standard di consumo previsti dalla Provincia autonoma di Bolzano (classe C: 70 kWh al metro quadrato all’anno)
3. Espansione del verde urbano nell’ottica di una riduzione dello squilibrio complessivo tra inorganico e organico, con fissazione di percentuali annue di incremento, al fine di:
- migliorare i microclimi urbani
- aumentare l’alimentazione delle falde idriche riducendo l’impermeabilizzazione dei suoli
- potenziare la fotosintesi clorofilliana per incrementare l’assorbimento CO2
4. Valutazione strategica dell’impatto ambientale per qualsiasi intervento sul territorio
5. Uso nell’edilizia di materiali locali, per quanto possibile, e riuso di materiali provenienti dalle demolizioni
6. Recupero delle acque piovane canalizzando i flussi delle grondaie in serbatoi di accumulo per sciacquoni e irrigazione
7. Divieto di costruire parcheggi per edifici destinati ad attività lavorative, divieto totale di sosta nelle strade dei centri storici a eccezione dei residenti e destinazione agli stessi dei parcheggi sotterranei esistenti.
8. Dotazione obbligatoria di impianti fognari dove sono ancora assenti
9.Impianti di depurazione obbligatori per ogni abitazione non collegabile a un impianto fognario, possibilità di contributi/finanziamenti comunali per impianti di depurazione privati
10. Controllo periodico (almeno annuale) delle acque presenti nel territorio comunale (fiumi, torrenti, rogge, ecc) con la pubblicazione dei risultati". A cura di Maurizio Pallante

martedì 17 febbraio 2009

strumentazione pink floyd

Se sei chitarrista e ti piacciono i pink floyd qui c'è un sito completissimo, su chitarre, effetti ecc:
http://www.giampaolonoto.it/

Bravissimo!

venerdì 13 febbraio 2009

scomparsa haran (cane epilettico ) a Brescia




Haran è scomparso da casa, in zona S.Eufemia Brescia, la mattina di sabato 7 febbraio.
E' un meticcio di taglia media (circa 13 kg), pelo medio castano rossiccio (con parti bianche), orecchie ricce.
Indossava collare con una medaglietta e un cilindretto porta indirizzo. Ha il microchip (numero: 380098101066065 ITA).
Haran è epilettico e deve assumere due compresse di Luminale 15 mg ogni 12 ore.

Chiedo a chiunque avesse informazioni o a chiunque l'avesse visto di chiamare Chiara Prestini (3487640742- 3346076576)
Mettetevi una mano sul cuore.

Grazie

mercoledì 11 febbraio 2009

La morte e la politica

La morte e la politica
di EZIO MAURO



Il nuovo Calvario su cui è salita Eluana Englaro e dove è morta ieri sera, è questa fine tutta politica, usata, strumentalizzata, quasi annullata nella riduzione a puro simbolo e pretesto feroce di una battaglia di potere che è appena incominciata e nell'usurpazione del suo nome segnerà la nostra epoca.

Il vero sgomento è nel dover parlare di queste cose, davanti alla morte di Eluana. Bisognerebbe soltanto tacere, riflettere su quell'avventura umana, sulla tragedia di una ragazza diventata donna adulta nella perenne incoscienza del suo letto d'ospedale, su quelle vecchie fotografie piene di vita e di bellezza rovesciate nella costrizione immobile di un'esistenza minima, inconsapevole. Voleva vivere, quel corpo che respirava? O se avesse potuto esprimersi, avrebbe ripetuto la vecchia idea di volersene andare, come aveva detto da ragazza Eluana a suo padre, molti anni fa, quando poteva parlare e pensare?

È la domanda che si fa ognuno di noi, quando è accanto ad un malato che non può più guarire, in un ospedale o in una clinica. È un'angoscia fatta di carezze e interrogativi, dopo che le speranze si sono tutte dissolte. Di giuramenti eroici - fino alla fine, pur di poterti ancora vedere, toccare, pur di immaginare che senti almeno il tepore del sole, che stringi una mano, e non importa se nei riflessi automatici dell'incoscienza. Ma è un'angoscia fatta anche di domande sul futuro, che si scacciano ma tornano: fino a quando? E come, attraverso quale percorso di sofferenza, di degenerazione, di smarrimento di sé? E alla fine, perché? C'è una vita da conservare, o in queste condizioni è un simulacro di vita, un'ostinazione, una costrizione? È per lei o è per noi che la teniamo viva?

Quegli atti inconsapevoli che in certe giornate rasserenano, e sono tutto - il respiro, naturalmente, un tremito di ciglia - altre volte sembrano una condanna meccanica, soprattutto inutile. Perché la vita è un bene in sé, ma deve pur servire a qualcosa, avere un senso.

Questo è stato per 17 anni il dramma di un padre. Accanto al letto della sua Eluana, lui è vivo, vede, ama, soffre, s'interroga, si dispera e ragiona. Diciassette anni sono lunghissimi, la speranza fa in tempo ad andarsene senza illusioni, c'è il realismo dei medici, l'evidenza quotidiana. Una figlia che ogni giorno si allontana dall'immagine della vita mentre resiste, ogni giorno è presente nel suo bisogno di assistenza ma non sente più l'amore, lo sconforto, la presenza. Nulla. È lontana e tuttavia respira, mentre il padre la guarda. Lui ricorda quel che la figlia voleva, quel che avrebbe voluto. Non so che cosa pensi, come arrivi alla decisione, se gli faccia paura l'idea di un futuro in cui lui potrebbe non esserci più, con la madre gravemente malata. Se ha ceduto, facendo la sua scelta, o se invece ha dovuto farsi forza. So che in quel padre, in questi 17 anni, si somma il massimo del dolore e dell'amore per Eluana. Questo non significa automaticamente che tutto ciò che lui decide sia giusto. Ma significa che lui ha un diritto, il diritto di raccogliere la volontà di un tempo di Eluana e di confrontarla con la sua volontà, com'è venuta maturando accanto a quel letto d'ospedale, in un percorso che lui solo conosce, e che nasce dal rapporto più intimo e più autentico di un uomo con sua figlia, nei momenti supremi.

Il padre potrebbe risolvere il problema nell'ombra, come fanno molti e come vogliono i Pilati italiani, pur di non vedere e di non sentire. Potrebbe cioè chiudere l'esistenza di Eluana nel moderno, silenzioso, neutro "rapporto" tra medico e familiare del paziente terminale. Bastano poche parole, poi un giorno uno sguardo d'intesa, un cenno del capo, e tutto finisce senza clamore. Ma quello del padre, in questo caso, non è "un problema". È la sua stessa esistenza, congiunta con quella di sua figlia, che non sanno come procedere e come sciogliersi. È una cosa infinitamente più grande di lui, che tutto lo pervade e lo domina, altro che "problema", altro che "rapporto" tra un medico e una famiglia, altro che scelte silenziose e sbrigative, purché nulla sia detto davvero, niente chiamato col suo nome. Ciò che molti dicono tragedia, in questi casi, quel padre la vive davvero, al punto da urlarla. Vuole che gli altri sappiano. Vuole che gli dicano se quel che fa è giusto o sbagliato. Lui ha deciso di chiedere allo Stato di lasciar andare Eluana. Chiede che lo Stato risponda, dunque si faccia carico, non se ne lavi le mani. Solo così, portata in pubblico, la tragedia di quella figlia servirà a qualcosa, a qualcuno, e quei 17 anni acquisteranno un senso per tutti, quasi un insegnamento. Non so se sia giusto o sbagliato. A me sembra un gesto d'amore, supremo, che nasce dal profondo di una desolazione e di un abbandono, perché l'una e l'altro non siano del tutto inutili, visto che già sono purtroppo inevitabili.

C'è qualcosa di più. Quel gesto verso lo Stato - violento: dimmi cosa devo fare, dimmi come posso fare, dimmi qualcosa, io sono solo ma resto cittadino e ho il diritto d'interpellarti - è un gesto che nasce dall'interno di una famiglia. Strano che nessuno lo abbia detto. Quel padre fa la spola tra una moglie malata gravissima e una figlia incosciente da un numero d'anni che non si possono nemmeno contare. Nessuno ha nemmeno il diritto, da fuori, di immaginare il suo tormento, il filo dei pensieri, la disperazione che deve tenere a bada mentre guida, mentre telefona, quando prova a dormire. Tra moglie e figlia, giorno dopo giorno, lui tiene insieme la sua famiglia. Ciò che resta, certo. Ma anche: ciò che è. Esiste forse una famiglia italiana, in questo 2009, più "famiglia" di questa? Lui parla con le sue due donne, ogni tanto con parole inutili, più spesso nella mente. Provano a ragionare insieme, è finzione, certo, ma è la cosa più vicina alla realtà, è l'unica possibile perché la famiglia esista non solo a livello fisico, delle due presenze malate in clinica con l'uomo lì accanto, ma anche a livello spirituale, come comunione possibile: anni insieme, gioie, speranze, amore, abbracci, progetti, un modo di pensare, di sentire, un modo di essere comune. La decisione che il padre prende, la prende in nome della sua famiglia. Non per sé, per tutti. Fa spavento pensare a questo, e poi pensare al futuro, ma è l'unica verità possibile. L'unica cosa autentica.

Quella famiglia, a un certo punto, dice che l'esistenza di Eluana, così com'è ridotta, deve finire. Nessuno può sapere se nella sensibilità acutissima della sua solitudine tra le due donne il padre ha deciso così perché lo ritiene un ultimo gesto d'attenzione, una cura estrema e finale per quella figlia; oppure perché non ce la fa più. Se lui non ce la fa più, è la famiglia che si ferma, che non può andare oltre. Loro sono insieme: ancor più negli ultimi diciassette anni. L'unico modo per non prendere su di sé tutto il peso di questa decisione, per il padre è quello di decidere in pubblico. Come se questo Paese fosse in grado - ben al riparo dalla tragedia, naturalmente - non solo di compatire, come sa fare benissimo, soprattutto in televisione. Ma per una volta, di condividere.

Il padre si aspettava la discussione, la polemica, gli attacchi e anche gli insulti. Aveva scritto una lettera a "Repubblica", l'altro giorno, che poi ha voluto rinviare ancora. Chiedeva di attaccarlo liberamente, purché si accettasse di discutere davvero la grande questione del cosiddetto caso Englaro. Domandava soltanto di risparmiare la morbosità degli sguardi e delle curiosità sugli ultimi istanti di Eluana. Negli ospedali, diceva, nelle corsie, a un certo punto si tira una tenda per riparare il momento finale di chi sta morendo.

Quel che il padre non poteva prevedere, era l'altra morbosità, più feroce: quella della politica, della destra italiana. Prima l'inverosimile conferenza stampa di Berlusconi, che usava più di metà del tempo per attaccare il Capo dello Stato in nome della potestà suprema e incondizionata del governo, e quando parlava di Eluana - dopo aver detto di non volersi assumere la responsabilità della sua morte - arrivava a pronunciare frasi offensive: il "figlio" che la ragazza potrebbe avere, il "gravame" a cui il padre vorrebbe rinunciare. Poi l'attacco alla Costituzione, come se una tragedia fosse fondatrice del diritto. Infine, ieri, alla notizia della morte di Eluana, il peggio, qualcosa a cui non volevamo credere. Berlusconi che punta dritto sul presidente Napolitano come responsabile diretto della tragedia ("l'azione del governo per salvare una vita è stata resa impossibile"), un gesto di violenza politica senza precedenti in democrazia, nel linguaggio tipico dei regimi contro i dissenzienti, quando si mescola politica e criminalità. Subito seguito dall'amplificazione di personaggi minori e terribili, come Quagliarello che parla di "assassinio", Gasparri che minaccia dicendo quanto pesino "le firme messe e non messe". Borghezio che chiama in causa i "dottor morte" colpevoli di "omicidio di Stato", anche da "altissime cariche istituzionali".

È miserabile sfruttare una morte per trarne un vantaggio politico. È vergognoso trascinare il Capo dello Stato sul terreno della vita e della morte per aver esercitato i suoi doveri di custode della Costituzione. È umiliante assistere a questo degrado della politica. È preoccupante scoprire qual è la vera anima della destra italiana, feroce e crudele nella cupidigia di potere assoluto, incurante di ogni senso dello Stato, aliena rispetto alle istituzioni e allo spirito repubblicano, con l'eccezione ogni giorno più forte e più netta del presidente della Camera Fini.

Con la strumentalizzazione di una tragedia nazionale e familiare, e con gli echi cupi di chi tenta di trasformare la morte in politica, è iniziata ieri sera la fase più pericolosa della nostra storia recente per le sorti della Repubblica.

(10 febbraio 2009)

Giovanni Pelosi

E' un bravissimo chitarrista italiano, il sito è:
http://www.giovannipelosi.com/

Trovi anche suoi video, e intavolatura per chitarra.

domenica 8 febbraio 2009

trasformarci in cittadini migliori

Come si fa a convincere la gente a risparmiare energia?
POSSIAMO TRASFORMARCI IN CITTADINI MIGLIORI
impegnati nella attesa dell'ambiente con semplici trucchi.
Obblighi e divieti possono essere controproducenti: a volte basta un semplice nudge, cioè una piccola spinta che ci metta sulla strada giusta senza troppe rinunce.
Vi farò degli esempi: in molti alberghi per accendere la luce e l'aria condizionata usiamo la stessa fiche elettronica che apre la porta. Quando usciamo e mettiamo la carta in tasca, automaticamente spegniamo tutto. Usare una tecnologìa simile anche in casa renderebbe un gesto quotidiano più significativo, non ci sarebbero più sprechi, lampade lasciate accese e led che brillano nel buio.
Un'altra semplice soluzione è rendere i costi più evidenti: un termostato intelligente potrebbe tradurre il consumo di energia in denaro. Sapere quanti soldi risparmiamo ogni volta che abbassiamo il riscaldamento sarebbe un incoraggiamento efficace. In California, una compagnia elettrica ha già sperimentato l'Ambient Orb, una sfera che diventa rossa quando il consumo di energia è alto, e verde quando l'uso è basso. Grazie a questo dispositivo il risparmio di energia è aumentato fino al 40%.
Anche la pubblicità dei comportamenti può orientare le scelte individuali: se il consumo energetico degli inquilini del mio palazzo fosse stampato e affisso nell'atrio, quelli che consumano dì più forse comincerebbero a farsi delle domande.
Si potrebbe fare lo stesso su scala più grande attraverso Facebook, Gli esseri umani sono imperfetti, vanno di fretta, procedono con il pilota automatico, senza riflettere e spesso prendono decisioni sbagliate. Serve un architetto delle scelte che li indirizzi senza forzarli o limitare la libertà individuale. Questa idea, che insieme al mio collega Cass Sunstein, chiamo anche "paternalismo libertario", vale per il risparmio energetico come per la donazione degli organi e la crisi finanziaria. La filosofia della spinta gentile non è né di destra né di sinistra. La fondazione Robert Wood Johnson, la più grande degli Stati Uniti, ha bandito un concorso per l'architettura delle scelte nel campo della sanità. David Cameron, leader del partito conservatore inglese, l'ha consigliato ai dirigenti del suo partito e il sindaco di Londra Boris Jonhson ha stanziato 100.000 sterline per sperimentare politiche ispirate al nostro paternalismo libertario nel quartiere di Barnet. Sappiamo per certo che diversi nomi di spicco del team-Obama hanno letto il nostro libro.
di Richard Thaler
Docente di Economìa comportamentale dell'Università di Chicago, insieme
a Cass Sunstein è l'autore di "La spinta gentile", in uscita con Feltrinelli a inizio maggio.

D Repubblica delle donne 7 FEBBRAIO 2009

sabato 7 febbraio 2009

l'Italia è un paese a sovranità limitata

Dopo che il papa ha riabilitato i seguaci de Lefebvre, più le varie porcherie sul caso Englaro, forse sarebbe il caso di evitare che l'Italia sia una brutta copia speculare dei paesi talebani....

http://www.uaar.it/laicita/

chitarra: la ADGPA

Che bello il sito della ADGPA!
Interessanti anche gli articoli di Gianni Bergamaschi su:

http://www.adgpa.it/didattica.htm

riprenderemo il discorso....

il blog di Marco Travaglio

Segnalo l'indirizzo del blog di Marco Travaglio:
http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

Si può essere d'accordo o no...ma di questi tempi meglio essere il più informati possibile, i telegiornali sono arrivati ad un livello di una bassezza incredibile.

martedì 3 febbraio 2009

contro l'inquinamento a Brescia

Tratti da "l'albero del quartiere", a cura del Comitato Difesa Salute e Ambiente di San Polo,(tel 3337405930 codisa2004@libero.it -
http://digilander.libero.it/CODISA2004) riportiamo i numeri di telefono a cui rivolgersi per segnalare e denunciare problemi ambientali:

A.R.P.A. Brescia 030 3847411 (dalle 9 alle 17) Direttore Berna Vanda - Via Cantore 20 - 25128 Brescia
A.R.P.A. Milano - 02 696661
Sindaco di Brescia Adriano Paroli - 030 2977205-6 Piazza della Loggia 1 - 25100 Brescia
Vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi - 030 2977209 Piazza della Loggia 1 - 25100 Brescia
Assessore All'Ambiente Paola Vilardi - 030 2978754 Piazza della Loggia 1 - 25100 Brescia
Polizia Municipale 030 2978807

Mandare in soffitta il Pil

Mandare in soffitta il Pil per costruire un’economia del benessere
DI GIAMPAOLO FABRIS
Repubblica affari e finanza, lunedì 2 febbraio 2009
Di essere in una situazione di crisi lo sappiamo sin troppo bene. Che siano ogni giorno stime nella fluttuazione del Pil a ricordarcelo è una conferma di quanto anacronistici, e socialmente offensivi, siano gli indicatori di cui l’economia si serve. Quanto profondo lo iato tra una malintesa concezione dell’economia e la società.
A testimonianza del diffuso malessere per questo indicatore vorrei ricordare come, nelle recenti festività fra gli sms più inviati, viralmente o come augurio natalizio, vi fosse la registrazione del discorso di Bob Kennedy nel 1968 all’Università del Kansas. La prima, che mi consti, tanto autorevole e severa requisitoria su questo indicatore. Ho ricevuto questa mail da più fonti fra cui Marco Roveda, pioniere, con Scaldasole, dell’industria biologica in Italia ed ora impegnato con Lifegate a ridurre ad impatto zero, con processi di riforestazione, le emissioni di CO2. In quel discorso Kennedy afferma che ad alimentare il Pil "sono anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità per le sigarette, il costo delle ambulanze che intervengono per le carneficine sulle autostrade, il napalm e l’armamento nucleare, i programmi tv che glorificano la violenza, le serrature per barricare le nostre case e i costi della prigione di chi le infrange…il Pil cioè misura tutto ad eccezione di ciò che rende la vita degna di essere vissuta". Da allora sono trascorsi quattro decenni, la sua messa in stato di accusa è ormai ricorrente e le pubblicazioni all’insegna della più drastica condanna non si contano più: fra le tante segnalo due recenti, eccellenti volumi (De Padova, Lorusso: «DePILiamoci. Liberarsi del Pil superfluo ed essere felici». Ed. Riuniti; Dacrema: «La dittatura del Pil», Marsilio). Illustri economisti (Senn, Kaheneman, Stgliz ) hanno, al pari, messo in guardia dal considerare il Pil come misurazione del benessere collettivo. Ma è risultato più comodo attribuire loro premi Nobel che non apportarvi anche la più timida correzione.
Che lo stato di benessere di un Paese, lo stato della sua economia si valutino ancora sulla base di un indicatore tanto semplicistico e grossolano, adatto forse a società di prima industrializzazione, non è soltanto incomprensibile ma anche socialmente inaccettabile. Le devastazioni in atto nella striscia di Gaza si rifletteranno positivamente sul Pil di quel Paese perché occorrerà ricostruire così come, per Israele, reintegrare la sua macchina da guerra. Il Pil potrebbe divenire utile se integrato, ponderato, corretto da altri indicatori. Soprattutto depurato da componenti non socialmente utili o addirittura, come sovente accade, dannosi per la collettività.
Il Pil non misura la qualità dei prodotti, la loro compatibilità ambientale, la soddisfazione del consumatore, la qualità della vita. In breve non indica il livello di benessere di un Paese. Eppure, nei confronti di questo indicatore, c’è una sorta di idolatria: diminuzioni o aumenti di qualche decimale divengono notizie di prima pagina, inducono depressione o euforia. C’è davvero da chiedersi come tutto ciò sia possibile. Come sia ancora accettabile fotografare il contributo dell’economia al benessere di una nazione con un indicatore tanto misleading.
Non è davvero un interrogativo retorico questo. Non è impossibile, né eccessivamente costoso se non abbandonare il Pil che può comunque risultare utile se non altro per i raffronti internazionali –, affiancargli comunque altri indicatori che introducano quelle dimensioni di qualità della vita che dovrebbero costituire la finalità del sistema economico. Un aumento del Pil, a fronte di una diminuzione della qualità della vita o della soddisfazione dei consumatori, non è certo un dato rassicurante mentre può esserlo una sua diminuzione a fronte di un miglioramento del benessere dei cittadini. Perché allora non può essere proprio il nostro Paese a farsi carico di promuovere un sistema che generi un Pil sano, nel prendere decisamente le distanze dall’aspetto più vistoso di distorsione di una cultura economica? Si potrebbe far ricorso all’Istat, ormai ridotto al ruolo di fabbrica di dati per lo più di scarsa utilità, per raccogliere in maniera sistematica altri indicatori che aiutino a correggerne le deformazioni rendendolo uno strumento utile a valutare lo stato dell’economia depurata dalle sue componenti di patologia sociale.

domenica 1 febbraio 2009

storia sociale dei gatti

Che crudeltà, mondo gatto!
Da creature demoniache nel Medioevo fino al riscatto nell'età vittoriana, gli animali domestici sono stati spesso vittime di soprusi. La studiosa Katharine Rogers cerca le tracce delle loro zampe nelle vicende dell'umanità.

di Elisabetta Rasy

Nel 1965 Varlam Salamov scrisse alla vedova di Osip Man-delstam, Nadezda, una lettera che cominciava così: «Hanno ammazzato il mio gatto Mucha. Con un colpo in testa. Nelle giungle moscovite, apertamente». Salamov aveva riacquistato la libertà nel 1951, dopo i quindici anni passati nel "crematorio bianco" della Kolima, nel nord-est siberiano, condannato all'arcipelago Gulag «per attività controrivoluzionaria trockista». Non ne aveva ricavato durezza d'animo, ma un'accresciuta pietà per le creature viventi. «Gli animali» scriveva ancora nella lettera «fanno indiscutibilmente parte del mondo degli uomini». Poi passava a raccontare all'amica altri particolari sulla perdita di Mucha: che tutta la città era tappezzata di cartelli con un appello del governatore a sterminare i gatti («anche il mio familiare gatto Mucha è diventato per me ragione di lotta contro il potere»), che gli avevano spiegato che i gatti venivano catturati e uccisi nei camion, ma che lui, sperando che il suo gatto fosse al deposito dei randagi, aveva insistito per andarlo a cercare. Dice poi che sarebbe stato meglio non andare in «quella camera a gas moscovita»: «L'inferno degli animali, è la paura». Cani e gatti vi erano rinchiusi in gabbie strettissime: Mucha non c'era, i gatti però erano tutti uguali, assenti. «Più terrificante di tutto: pensavo, costeggiando il corridoio, che urli, gridi, gemiti e guaiti avrebbero accolto la mia entrata nella stanza, per esprimere un'ultima speranza, l'attesa di un miracolo, che tutta l'energia vitale di questi cani e di questi gatti sarebbe stata tesa verso quest'ultimo istante di speranza... Le bestie mi accolsero in un silenzio di morte. Non un pianto, non un latrato, non un miagolio».
Poco più di un anno dopo, però, comincia a muovere le sue zampone vendicatrici un altro gatto russo, Behemot o in altre nostre versioni Ippopotamo, il
gatto del diavolo Woland venuto a comporre la vicenda dolorosa e amorosa del Maestro e Margherita, il romanzo di Bulgakov uscito, dopo un quarto di secolo di clandestinità, mutilo e censurato tra il 1966 e il 1967.
Di tutti - e sono tanti - i gatti della letteratura, Ippopotamo è il mio preferito: «Grosso come un maiale, nero come il carbone o come un corvo, con tremendi baffi da cavalleggero». Ippopotamo è un gatto che sa rispondere al fuoco e non si fa tirare tanto facilmente un colpo in testa. Il gattone della demoniaca corte dei miracoli di Woland è bugiardo, ingordo, sleale, vanitoso, ma sa come usare le sue risorse feline. Sale sul tram con la stessa agilità con cui taglia le teste dei funzionari meschini vili e delatori, è abile nei giochi di prestigio e autorevolmente insolente con le autorità di cui, rovesciandole, mima le sopraffazioni. Porta insomma gli emblemi di una estrema, felice, scatenata e persino paradossale libertà che, non solo negli orrendi anni staliniani,-culla e accarezza la fantasia degli uomini. É prima di uscire di scena ha il grande merito di dare alle fiamme la sede della associazione della Letteratura di Massa, dove di censura in censura gli scrittori non allineati vengono ridotti come i gatti prigionieri di cui
parla Salamov nella sua lettera.
Ora i gatti hanno una loro Storia sociale: l'ha scritta l'americana Katharine M. Rogers, cercando tracce delle loro zampe nelle vicende dell'umanità. La studiosa individua alcuni popoli amanti dei felini domestici, gli arabi, i giapponesi e soprattutto gli egiziani che avevano una divinità gatta, Bastet, mite e feroce nella sua gattesca femminilità. Per quanto riguarda l'Occidente, cioè l'Europa con l'appendice americana, Rogers cerca invece di mettere ordine nella materia felina attraverso alcune schematiche periodizzazioni ed evidenziando alcuni temi simbolici: dal Medioevo superstizioso e feroce dei gatti bruciati come le streghe al Settecento del riscatto fino alle sdolcinatezze dell'età vittoriana, dall'assimilazione al demonio e alla lascivia femminile all'esaltazione delle virtù domestiche, passando per le fiabe e per l'ispirazione accordata a una nutrita schiera di scrittori.
Per quanto dettagliato e interessante, però, il libro della studiosa è pieno di contraddizioni per la semplice ragione che i gatti sono imprevedibili e suscitano sentimenti imprevedibili e singolari. Così, tra l'orrore di gattesche decapitazioni, impiccagioni e squartamenti, spiccano figure d'amore fuori dal tempo e dai costumi, come quella di un monaco irlandese del IX secolo che dedicò al suo gatto Pangur Ban poemi d'ammirazione e d'amicizia, o quella dello scriba egiziano Nebamun che, in una pittura tombale del 1300 circa avanti Cristo, viene raffigurato in una scena di caccia agli uccelli in compagnia della moglie, della figlioletta e del suo gat-tone rosso dalla lunga, sinuosa e svolazzante coda. Per non parlare delle tante Annunciazioni rinascimentali, dove il gatto di casa assiste all'arrivo dell'Angelo, quieto o consapevolmente turbato come il gatto dell'Annunciata di Lorenzo Lotto, che fugge dal quadro per avvisare chi guarda della portata inaudita dell'evento.
Dai miei gatti ho capito che, per via misteriosa, devono essere consapevoli di tanta storia: per esempio odiano le feste, la casa affollata di gesti e voci sconosciute e paventano l'imprevedibilità altrui difendendo strenuamente la propria. Una mattina che, stanca di un lungo viaggio, dormivo ben oltre l'orario consueto del risveglio, il gatto capofamiglia è salito sul letto e con una zampa mi ha aperto delicatamente la palpebra di un occhio. Forse per assicurarsi che stessi bene, forse perché l'ora della colazione era passata da un pezzo.
Katharine M. Rogers, «Storia sociale dei gatti», traduzione di Caterina D'Amico, Bollati Boringhieri, pagg. 204, euro 16,00.

tutta la forza del negawatt

Tutta la forza del negawatt
di Fiona Harvey

9 gennaio 2009
Nòva 100

Il miglior modo di ridurre le emissioni è prima di tutto quello di non produrne. Evitare gli sprechi si traduce direttamente nel taglio di emissioni e nel risparmio di costi. Così, invece dei "megawatt", le aziende dovrebbero iniziare a ragionare in termini di "negawatt", un termine coniato dal guru ambientalista Usa Amory Lovins.

Gary Parke, direttore di Evolve Energy, società di gestione del l'energia, spiega: «In sintesi il negawatt è un megawatt di potenza evitata o risparmiata nell'utilizzo della rete. Essendo l'emissione più efficace per ottenere riduzioni di emissioni sul lungo periodo, il negawatt permette ritorni più elevati e più rapidi di ogni alternativa». I ritorni dell'efficienza energetica sono potenzialmente notevoli. McKinsey ha stimato che, con il greggio a 50 dollari al barile, un investimento di 170 miliardi di dollari in efficientamento genererebbe risparmi per oltre 900 miliardi, con un ritorno potenziale annuo del 17 per cento. La maggioranza delle aziende è comunque inconsapevole dei risparmi che possono essere effettuati con l'efficienza. La bolletta energetica ha rappresentato solo una minima parte dei costi aziendali negli ultimi decenni. Ma quando i prezzi petroliferi sono esplosi l'industria si è trovata impreparata.

Anche le società di distribuzione tendevano a dare scarsa rilevanza all'efficienza dei propri clienti in passato, dato che venivano pagati in megawatt, non in negawatt. Ma l'alto costo del carburante, la scarsità dell'offerta e l'esigenza di evitare blackout sulla rete e, in alcune regioni, le restrizioni imposte ai gas serra sono elementi che hanno portato anche i distributori a focalizzarsi sul problema. Oggi si stanno attrezzando per fornire ai propri clienti consulenza e tecnologie per ridurre le emissioni. Come anche le agenzie governative, i consulenti energetici e ambientali, le società di gestione delle infrastrutture e perfino le compagnie assicurative.

Il primo passo per le aziende è di solito la verifica dell'uso di energia, alla ricerca di eventuali sprechi e dei potenziali risparmi. I controlli possono prendere anche mezza giornata e hanno costi relativamente contenuti. A volte vengono realizzati gratuitamente dai distributori o dalle agenzie governative. Alcune delle misure raccomandate in una prima fase sono del genere che qualsiasi manager può prevedere: spegnere luci e computer quando i dipendenti escono dall'ufficio, staccare i caricabatteria se non utilizzati, abbassare il termostato o l'aria condizionata. Sono semplici cambiamenti di comportamento che non richiedono alcun investimento al di fuori del ricordare alle persone di metterli in atto.

Altre misure sembrano meno ovvie, me sempre molto economiche. Per esempio a un produttore di pneumatici in Gran Bretagna è stato consigliato di lavare le finestre, per far entrare più luce naturale e ridurre il ricorso a quella artificiale. A volte un piccolo investimento può fruttare molto. Rsa, la compagnia assicurativa inglese, indica il caso di una società cui fa consulenza che ha investito 750 sterline nella pulizia dei bocchettoni di riscaldamento e condizionamento con la previsione di risparmiare 4.200 sterline e 25.319 kg di anidride carbonica.
Ma le aziende devono anche prepararsi a fare investimenti più grandi se vogliono ottenere ritorni più elevati e di lunga durata. Un altro cliente di Rsa ha cambiato completamente il sistema di condizionamento con un investimento di 32.900 sterline, ma nell'arco di quindici mesi l'investimento si sarà del tutto ripagato in termini di riduzione della bolletta energetica. La stessa Rsa ha acquistato un nuovo condotto per il riscaldamento e il condizionamento nell'ufficio di Manchester per 15mila sterline prevedendo di risparmiare ogni anno 6mila sterline e 36.171 kg di anidride carbonica. Alex Matthias, responsabile energy management di Rsa, sostiene che «le aziende devono capire che piccole modifiche ai loro sistemi di riscaldamento e di ventilazione potranno non solo attuare notevoli risparmi ma anche avere un ruolo significativo nella riduzione delle emissioni di CO2».

Cosa frena quindi le aziende? Le ricerche di EnergyTeam, società di consulenza in campo energetico, indicano che l'ignoranza è un elemento, dato che molte aziende non sono a conoscenza dei risparmi che possono essere effettuati. Un'altra causa è la ritrosia delle imprese a effettuare investimenti in efficienza energetica se i ritorni sono previsti tra uno o due anni.
In alcuni casi è un problema di proprietà degli immobili. L'affittuario tende a non effettuare miglioramenti strutturali di cui beneficia essenzialmente il proprietario. Ma gli stessi proprietari possono essere condizionati da meccanismi perversi a non rendere più efficienti le loro proprietà: nel caso in cui la bolletta energetica è compresa nell'affitto, i proprietari ricaricano fino al 15% sulle forniture energetiche. Questi contratti li privano di qualsiasi motivazione a operare per la riduzione delle emissioni. Per le aziende bloccate da proprietari riluttanti, la miglior soluzione potrebbe essere quella di offrire la condivisione dei costi di qualsiasi investimento strutturale in cambio di una condivisione dei risparmi. In caso contrario, meglio traslocare.

dal Financial Times